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Alcuni testi inclusi nel mio recente Se questo si chiama amore, io non mi chiamo in alcun modo  (Ab imis, 2018). Le illustrazioni, dall’alto in basso, sono di Lexie Smith e André Greppi.

Abbiamo parlato abbastanza.
Il discorso volge al brutto.
Alcune parole sono come puntaspilli.
(Ci sono troppi cantieri aperti nel
cuore del libro).
Le labbra fanno le preziose e
baciano solo gli abissi non detti.
In tempi d’assedio,
la mente si porta sbottonata.

*

Non blandire ciò che si espone,
non glossare il comodo e l’ordinario.
Impastali nella tua voce,
trascinali per tutta la lunghezza del mio orgoglio.
Il corpo è uno, mentre
l’amore è sempre composto,
sempre pieno di ogni genere e specie.
Toccami, urlami,
fammi venire in faccia alla parsimonia di questo mondo.
Non essere triste per gli alberi abbattuti dalla filosofia.
Pianta nuovi corpi dentro il tuo,
adesca i semi,
illumina ogni petalo mortale.


*

I nomi sono tagli, aperture, oppure non sono. Preparano la colmatura dei corpi o, all’opposto, lavorano per l’assuefazione.

Si taglia per maritare il sangue alla ferita, non per l’onore della lama.
Le cicatrici, a loro volta, andranno a scomporre ogni unità, ogni disegno di purezza.

Non c’è poesia nella necessità di una redenzione.
Tra Achab e la balena bianca, ho sempre finito per scegliere il mare.

*

Il bello non sta nei passi fatti,
ma nell’andare,
nell’ondata sempre imminente,
nei giorni da intagliare.

I passi fatti non sono da rifare,
perché l’andare è già un
compagno tacito, esigente,
che pone pensieri smaglianti
dentro il fuoco della presenza.

Adescare il sempre.
Concupire ogni avverbio di tempo.

La conquista della tenerezza è la
più grande impresa della materia.

*

Non ho mai creduto
all’ingenuità delle mie erezioni.