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Alcuni testi inclusi nel mio Se questo si chiama amore, io non mi chiamo in alcun modo  (Ab imis, 2018). Le foto sono di Anita Dadà.

Creo uno spazio,
qui,
con quattro parole,
come se parlassi a una bimba.
Lo spazio non si vede,
perché all’inizio lo spazio sei tu.
Poi questo spazio si allarga, si allarga,
e diventa più grande di tutte le parole del mondo.
Ma tu non avere paura.
Anche quando non sapremo dirlo,
noi saremo ovunque:
sulla luna,
ai confini della Terra,
nel ventre della balena.
Le parole ci metteranno la mappa,
noi ci metteremo il tesoro,
e ogni desiderio potrà tornare a casa,
come saprà,
quando vorrà.

*

Sei l’interrogazione muta che
mi prende
anche quando non ho più niente da chiederti;
il ritorno del compimento, della
frugalità senza sconti,
lo spalancamento del pensiero ai confini della necessità.

Ti accarezzo i seni e
si fa strada un sollievo che ignora il deserto.
Ti mordo i capezzoli e mi esplode una
stella dentro il cervello.

Assolata, la carne delle parole.
Intrepido, il patto con la materia.

Solo così
correggo il mio sangue e
spazzo via quel corpo inclemente
in cui
declinai invano la bassezza del giudizio.

*

Infilarti la lingua nel culo,
infilarci dentro ogni aggettivo,
ogni verbo,
trovare una poesia che sia degna della galassia di Andromeda
e sprofondare in te,
nell’idea che ho di te,
in ogni idea possibile che avrò di te.

*

Fare in modo che ogni parola
annusi il culo di quella successiva
comportandosi ferocemente verso la
mia pretesa di durare dentro la poesia.