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Ascolto la tua voce, gli spigoli della tua voce, e qualcosa dentro di me si ferma. È un attimo, poi riparte tutto. Ma in quell’istante mi cadono nella mente un sacco di pensieri e scatole di pensieri e stelle mai nate. Così mi vien voglia di toccarti, una gran voglia di toccarti, e resto stranamente sereno – anzi, ottusamente sereno – dentro questa voglia che mira a congiungerti con le mie negazioni, i miei sogni.
Anzi, a dirla tutta, è come se il mio desiderio, nella densità dell’immaginazione, arrivasse a toccare finanche la tua voce. Come se questa, per chissà quale strano arcano, si solidificasse dentro il mio corpo e mi portasse in dono le tue labbra, le tue cosce, la tua fica, venendo a riempire ogni vuoto possibile tra me e il mondo.

Il colore totale dei tuoi occhi. La struttura frattale del mio desiderio quando penso ai tuoi occhi. La certezza che ogni cosa possa franare a valle, senza rimedio, senza peccato.

Ma l’innamoramento – quest’enigma che porta con sé una nuova alba e che spezza in due il pane della mia poesia –, a cosa potrebbe mai votarsi se non alla concezione di un nuovo destino a perdita d’occhio?
Sarei pazzo, se non tradissi per te i luoghi comuni del mio pensiero.

Devo raccontarti di quella volta in cui mi son perso sotto la pioggia sperando d’incontrare proprio una come te.
La ricerca della gioia uccideva l’attesa e rattoppava la filosofia claudicante delle mie intemperanze…
(Devo anche ricordarmi di respirare, quando mi si spalancherà di fronte un intero universo biondo).

Saprò essere il custode del movimento? Riuscirò ad avere la mia parte di salute nello spazio che ameremo senza perderci?
Tutto dovrà viverci, allo stesso modo in cui noi sapremo accogliere l’avvento della curiosità tra i nostri corpi intelligenti.

Se tu oggi mi chiedessi cos’è l’amore, io ti direi che è il corpo in cui tutte le storie sono verità, ma anche l’interrogazione in cui tutti i nostri corpi faranno storia.

 

Testi scritti la sera del 4 giugno 2018. La fotografia è di Rafael Navarro.