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gioia, l'insopportabile questione delle parole, L'odio della poesia, Rafael Navarro, volontà di poesia
Troppa letteratura, faccio ancora troppa letteratura, e qualcosa di essenziale si perde ogni volta in quella che rimane pur sempre una convenzionale ricerca di bellezza. Scrivo e la verità mi cola tra le frasi mentre acconcio il corso delle parole o licenzio accortamente la banalità. Scrivo e non faccio che relegarmi nei luoghi confortevoli delle mie strutturazioni poetiche, delle mie abitudini di pensiero.
Relegarmi, rilegarmi. La scrittura è diventata una tana, un covo sempre più stretto e patetico. Dovrò quindi uscirne per tornare a vivere lo spazio. Dovrò innescare una sorta di guerra civile tra le mie parole usandole come artigli, come innervazione della tensione, del tumulto erotico che è la mia vita, e non certo come scodinzolii verso una qualche forma di acquiescenza estetica.
La poesia non è un ovile. Anzi, a dirla tutta, non è neanche un luogo. La poesia è una muta di lupi – è un andamento, una scorreria, un annusare continuamente l’aria in attesa di avvertire un’impellenza, una promessa di potenza.
Seduto sul davanzale della cucina, me ne sto a fumare un mezzo sigaro con le gambe penzoloni nel vuoto.
È un tardo pomeriggio ventoso. Il sole declina. Il panorama s’impone. Ed io penso al vento: al vento fra gli ulivi, al vento che alza la gonna del mio pensiero più sconcio, più bello, facendomi balenare in mente il culo delle cose, il lato B irredimibile di tutte le cose.
Vengo invaso allora da una gioia impertinente, immane, che travolge ogni stronzata. Sorrido. Sorrido di un sorriso più ottuso di ogni desiderio. E non ho alcun bisogno di giustificarmi vivo. La potenza è qui. Il destino si afferma. La flagranza dell’esistente mi libera da ogni paura, da ogni superfluo discernimento, e giungo così a un’evidenza imperiosa, insopprimibile: il ritorno a me, fuori da ogni progetto, si rivela un grande sconfinamento della materia, un’ironica pretesa del cosmo, nonché l’unica vera causa per cui non potrò mai smarrire la mia volontà di poesia.
La mia più grande ambizione è prendere per il culo il mio stesso destino.
Gli altri mi annoiano. E vi dirò: ormai anche i libri mi annoiano. Preferisco gli ulivi, i gatti, le nuvole.
Da oggi in avanti, continuerò a scrivere unicamente per dirvi questo. Non m’interessano le vostre stronzate. Ritengo bello solo il collasso di una stella.
Poeti che si mordono la coda anziché annusare il culo della vita, che strazio!
4-6 luglio 2018. La fotografia in alto è di Rafael Navarro. Frammenti confluiti in Il saper amore (2018).
L’ha ribloggato su CIANURO EMOTIVO INCHIOSTRO D'ANIMA SINISTRAe ha commentato:
❤
Possono, le parole, saturare tutti i pori tanto da nebulizzarti nell’atmosfera attorno e farti diventare tutt’uno e simultaneamente ciò che ti circonda, vivente o inerte, in un istante che dura ahimè solo una vita?
L’unica causa possibile sei tu.
Il possibile è fatto di tante cose e ricrea incessantemente un territorio lussureggiante, intricato, oltre i cui confini c’è la terra incognita dell’impossibile. Le parole, in tutto questo, possono fare da segnavia, limitandosi a cartografare l’esistente. Sul versante della vita quotidiana, intanto, ognuno di noi dovrebbe avere una sola e unica causa: se stesso. Tutto il resto è fatto di abbellimenti, orpelli o stronzate inessenziali che ci separano dal nucleo irriducibile di noi stessi. Certo, bisogna anche dire che le parole, quando non veicolano un sapere tecnico, funzionale, possono risultare una sorta di cavallo di Troia: ci danno cioè la possibilità di espugnare il reale o addirittura l’impossibile. Non direttamente, beninteso. Agiscono come addensanti, come coagulanti. Il sangue, però, beninteso, ce lo dobbiamo mettere sempre noi. 😉
Sangue e sperma, sì (e si spera non altro, sotto forma di ‘sentimenti’ meno densi).
Sentimenti? La sente la mente, la densità, l’addensamento, oppure la costruisce scientemente. A ciò serve (anche) la cosiddetta poesia.
Sì, scientemente si costruisce ogni cosa nella mente. Bisognerebbe essere meno coscienti, basterebbe meno senzienti ma questo ci impedirebbe di ‘vedere’ l’altro…io ti ho ‘visto’, leggendoti, su quel corrimano (?) pronto, con ali e fumo, a spiccare un volo…(‘confesso che ti ho vissuto’, ma non sono il poeta…)
Ho aggiunto in fondo al post una foto del “famoso” davanzale, così ti fai un’idea.