«Io e Romina Capo ci siamo incrociati per la prima volta sulla piattaforma di blogging Splinder verso la fine del 2006 (o ai primi del 2007). In seguito ci siamo persi di vista per un bel po’, finendo per ritrovarci solo una decina d’anni dopo su Facebook. In questo lasso di tempo, le nostre vite si sono stratificate, hanno collezionato esperienze, entusiasmi, fallimenti, gioie, distanze, eppure non hanno mai abiurato quella pulsione poetica che ci ha fatto attraversare indomiti (ma non certo indenni) quest’ultimo decennio. Ritrovandoci, ci siamo resi conto, in brevissimo tempo, delle notevoli affinità che continuavano a stregarci, come pure del fatto di essere assolutamente irriducibili a ogni forma precostituita d’intesa. In pieno accordo, abbiamo tentato così una scrittura comune, un approdo, una convergenza di desideri. Nessuno dei due poteva però prevedere la fiumana di parole (e di slanci, di schermaglie affettuose) che ci avrebbe tenuto avvinti per circa venti giorni – e che ancora continua» [dalla mia postfazione all’ebook].
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Folgorante raccolta di testi poetici, scritta nell’arco di appena tre settimane tra il luglio e l’agosto 2018. Un varco attraverso i giorni, un tentativo per l’affetto, una ricerca di unicità e consapevolezza per azzannare il desiderio. Con venti illustrazioni di Alfonso Nacchia.
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Altri testi di Eroticàrdio si possono leggere su: La dimora del tempo sospeso
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[ Romina Capo ]
Di certi uomini .mi dici
l’impronta è andata persa
erano altri tempi .certi inverni
da spazzare via le ragioni
Eppure gli ulivi ricordano ancora
di quelle mani amore e scienza
La terra ancora riversa
con un vocìo d’appartenenza
in un riordino di piccole cose
Come le mille gemme chiassose
che confondono mai le stagioni
ma a volte .ho sentito dire
in te non colgono differenza.
[ Carmine Mangone ]
(Non guardare nell’obiettivo. Dimentica ciò che di te si riflette nelle parole degli altri. Prova a cogliere la vera differenza e a celebrarla in chi non ti riduce. La riconoscerai senz’altro, fìdati, perché ti arriverà come un’espansione affettuosa della tua unicità. Allo stesso tempo, non dimenticherai ciò che ti apre, ciò che vuoi. Non lo dimenticherai mai. Potrai rinunciarvi, certo, ma non potrai dimenticarlo).
L’amore non è niente di più che un metodo per determinare il senso del mondo attraverso la propria presenza.
È un territorio, un terrain vague, ma anche e soprattutto il suo attraversamento.
Durante il nostro passaggio, nel corso di questo sbrigliarsi critico delle parole, la poesia costituisce l’andamento, la scansione, come pure la critica del movimento tra me e te, tra noi due e il resto dell’esistente.
La nostra morte si allontana anche grazie alle parole, soprattutto grazie a quel quid di morte che le parole si portano dentro a mo’ di mitridatismo.
Siamo sulla riva di una realtà che ci tiene separati, ma che non ci disunisce.
In onde lunghe, la poesia avanza verso di noi, verso i piani che si estendono sotto la superficie della convenienza.
(E mi sovviene con tenerezza di quel tempo in cui i miei nonni paterni panificavano: la madia colma di farina; il lievito dei sorrisi; il grande forno a legna come athanor di una promessa, di una consegna; il profumo inestimabile del pane appena sfornato.
Confine labile di una meraviglia. Bellezza senza nomi. Soglia ritrovata, amata).
[ RC ]
Ridondano le acque .i tempi nostri
i suoli da tanti altri attraversati
Ce li han consegnati così .quasi spogli
con gli stessi luccicori negli occhi
e le mani arrossate dalle braci
Chissà se l’eco dei loro baci ancora cogli
nei percorsi dai miei piedi accennati
sul tuo petto .e gli umori del loro mosto
io ne sento la linfa dove il tuo dire scosto
rabdomante di vita .ne sento forte il dono
(come la tua gatta torno a te fiera d’aver perseverato
con tra le fauci un topolino di poco squartato).
[ CM ]
Tutte le donne che ho amato, tutte le bussole che ho perso, tutti i destini che ho eluso, tutte le rivoluzioni che mi hanno toccato senza cambiarmi…
Dov’è il varco? Perché mi ostino a non morire? Che senso ha il voler insistere in un corpo?
Di tutte quelle occasioni in cui ho mentito alla mia poesia, serbo l’attenzione necessaria per la responsabilità che falliva.
Io ti sento, certo, e so della pazienza della gatta nel costruire la sua trappola per lune.
La mia ricerca di soddisfazione è senza misura, eppure ammette la tua orbita e le capacità che possiedi nel sottrarmi a un me stesso sempre troppo spigoloso, erettile.
La vita dell’Altro: una doppia vita, poiché l’Altro è già l’oltrepassamento della mia vita nell’ossessione della morte che viene ad accarezzarmi ogni giorno.
(E tutto questo quando vorrei solo cacciare la testa fra le tue gambe e singhiozzare, leccarti i pensieri più intimi e sentirmi più vivo della poesia che mi scopa la mente!).
[ RC ]
Era solo un annusare .ricordi?
(eppure da subito certe scossette
certe lascive strusciate di sensi
a noi larghi di ragionevolezza)
Le ostinazioni sono un attraversarci
sdoppiandoci .sprezzando certa morte
e ogni tanto perdersi .io oltre i tuoi boschi
tu in mezzo ai miei vaghi conteggi dei giorni
e alla frivolezza .che a tratti mi avvezza
mentre il tuo sesso pavoneggi in versi
(Che timido rossore da accalorata damina
quel tuo signore .un astuto mattatore).
[ CM ]
Noi parliamo sempre a partire da una perdita di vita, di consistenza. Non bisogna mai dimenticarlo. Più o meno imprecisamente, le parole rappresentano il modo in cui attraversiamo i nostri propositi di rilegatura, di prossimità, al fine di non disdire il possibile, oppure sono il paravento che ci occorre per sopportare la nostra mancanza di ostinazione, il nostro bisogno patetico di atarassia, il páthos familiare delle nostre cadute.
Le separazioni che accettiamo non implicano necessariamente una distanza, però agiscono soprattutto sul piano estetico di una rinuncia, di una declinazione. Le parole sono lo scivolo che ci permette la ricerca di una compiutezza al di fuori della vita immediata. Nondimeno, sanno essere anche il varco attraverso il quale balenano gli improvvisi denudamenti del senso, nonché l’evidenza e la violenza di ciò che ci rende toccanti nonostante le separazioni.
Voglio dire: il mio sesso pieno di sangue – che qui aleggia come un ironico elemento mercuriale – è solo un mezzo con cui voglio rivelarmi a te e al mondo senza la protezione di un cielo, di una maniera, in un costante denudamento del senso, in una carnale supplica verso quella morte che giunge a sfiorarmi ogni giorno senza che io rinneghi in nulla la mia apertura verso la materia.
Non ho mai visto due prepotenze come voi, infilzarsi, scambiarsi di posto e ridarsi la vita, così, con disarmante complicità, tanto da arrivare ad una “chiusa” che non è altro che Inizio.
Grandi!
Romina, Carmine, grazie.
Credimi. Anch’io sono molto soddisfatto del risultato finale. Romina ha un grande talento e le illustrazioni del caro Alfonso paiono realizzate ad hoc per la nostra opera. Avrei forse fatto a meno della postfazione, che a tratti finisce per risultare ridondante, ma l’ha voluta fortemente Madame Capò. 🙂
Diciamo che è un accessorio che da luce al gioiellino che avete fatto. E questa sottigliezza gliela dobbiamo riconoscere. È pur sempre una Capo( l’accento non le dona, Carmine, la divisa la oscura troppo 😂😂😂😂)
Dovreste incontrarvi, finalmente, far sì che corpo e anima si prendano per mano: siete belli. E chissà cos’altro diventa la poesia in una stanza. Come sempre, leggo e imparo.
“Siamo al capitolo api e fiori, con calma.”, cit. 🙂
Ho scaricato ebook che leggerò con calma, questa citazione mi incuriosisce assai. ‘Peccato, l’autunno’…
C’è tanto scardinare i fianchi ad alcune ombre atroci, in questo nostro dire. Un incontro fra stili volutamente diversi, così come in natura è diverso l’esprimersi tra uomo e donna. Ci siamo fiatati addosso senza contegno, con beatitudine e gioia. Con rabbia e ostinazione, a volte. Ma in bellezza. E concreta condivisione.
Al di là degli stili eminentemente diversi, io credo che abbia funzionato una medesima tensione, un’analoga protervia nel voler sbrigliare le parole contro le consuetudini del linguaggio e del desiderio. Non mi era mai accaduto, in oltre trent’anni di scrittura, di avere una tale consonanza con qualcun altro. Tutti i tentativi di scrittura a quattro mani erano abortiti quasi sul nascere o avevano prodotto smozzicature, testi inessenziali, insignificanti. Detto questo, qui c’è l’emergenza di un paradosso: aver escogitato una scrittura toccante anche in mancanza di una concreta frizione tra i corpi. Ciò fa di Eroticàrdio un culmine, una soglia folgorante, un’esperienza di scrittura quasi irripetibile (e che, comunque, ho tutta l’intenzione di ripetere portandola ancora più in là).
E difatti si corre il rischio, noi, di raccoglierci da intorno altro e altro da dire. Con la gentilezza di chi sa dare importanza ad ogni poco. Chi ci leggerà, probabilmente, si troverà a percorrere spazi angusti e poi d’improvviso infiniti. C’è da perdersi e ritrovare essenze dimenticate, si sappia. Io sono rimasta spesso confusa, guardandomi attorno. E in quel punto di fine resto, in punta di piedi, ancora scrutando.
L’orizzonte, se mai, è un taglio, un cuneo delle visioni, delle pretese, sul filo del quale si è sempre sul punto di saltare. Nel precedente commento, parlavo di soglia non a caso. Il nostro è stato come un equilibrismo sul limitare del desiderio. Uno stare né di qua, né di là. Un dislocare senza posa i corpi e il centro della questione. In tutto questo, si è venuta a creare una prossimità indubitabile, una complicità folgorante. Ora, c’è da chiedersi come fare a costruire il rilancio di un tale movimento senza girare astrattamente o stancamente in tondo. Non è facile governare le ripetizioni che fanno la vita.
Che abbia ragione Cristina Campo? Lei scriveva: «Fosse ciascun amante assorto solo nel proprio amore, dolcemente incurante dei sentimenti dell’altro […] Nessun amore avrebbe fine mai. Che io non voglia mai chiederti amore…». Ma di quale amore parlava la Campo? Possiamo sentirci nella stessa “noncuranza”? Dobbiamo sottostare necessariamente a una volontà di durata? Non sarebbe invece il caso d’infittire le domande per eludere ogni necessità o possibilità di risposta? E queste domande devono restare “maniera”, costruzione di ponti nell’aria, o possono trovare un territorio dove incarnarsi senza smarrirsi in una qualche dialettica amorosa autoreferenziale?