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Un sostanzioso estratto da L’ingovernabile (Ab imis, 2018). Foto: Robert Frank (ca. 1950).

 

 

(…) Fare branco. Annusare l’amore nell’aria. Praticare l’amicizia del mondo contro ogni valorizzazione economica degli affetti. Dedicarsi ai piccoli numeri. Scongiurare l’imperio della quantità. Ricreare i concetti e tenere a bada le astrazioni; ché non si ama in astratto, non si abbracciano le astrazioni senza sentirsi svuotati, travasati in un dio. Ci vuole un egoismo illuminato e che faccia la fortuna dell’amore. L’uomo non può più perdersi nell’idea dell’umanità. Manca la fierezza. Manca la lucidità che abbranca il destino. Mi chiedono cosa fare. Mi chiedono quali strumenti. Domande che si perdono nel vuoto tra le risposte. Chi sa della gioia di stare col mondo – e dell’amore ingovernabile che osteggia le idee fisse della società – non chiede lumi al vento, ma attua egli stesso la tempesta che spazza via le ombre.
Il branco non è la famiglia borghese, non soggiace al numero di Dunbar, non si vuole come struttura politica o luogo di cittadinanza. Il branco è un gruppo di viventi accomunati non tanto dalla consanguineità, quanto sempre e soprattutto dalla volontà di stare insieme per godere della propria unione e per combattere ciò che la ostacola.
[Ma come collocare i miei gatti all’interno del branco che formo con la donna che amo e coi miei pochissimi amici? Nessun concetto umano è qui applicabile senza scadere nella pericolosa presunzione di chi si crede superiore alla “natura” degli altri. Mi limito dunque a sperare che queste belle creature, per quanto addomesticate (o presunte tali), possano godere egoisticamente di me come io godo di loro – rimpinzandosi, obbligandomi a tenere la loro lettiera pulita, facendomi le fusa, condizionando la mia presenza in casa e ancor più le mie assenze. L’animale mi mette di fronte uno sguardo insondabile, che mai può essermi specchio; se io provassi a riporvi qualcosa di umano, finirei solo per ingabbiarlo nella mia umanità “snaturata”. Non c’è reale domesticazione tra me e i miei animali, parlerei piuttosto di un rapporto di godimento reciproco. Apparirà paradossale, ma in questa comunità interspecifica, mi riconosco ogni giorno più umano per interposto animale.]
Fare branco. Costruire unioni per condividere progetti. Creare affinità e affinare la propria creatività insieme agli altri. Soddisfare i propri bisogni senza uccidere i desideri degli altri. Toccarsi reciprocamente senza la necessità di contarsi. Osteggiare chi fa economia dell’amore. Godere della propria vita sventando l’individualismo indotto dalla società post-industriale. Creare associazioni tra le comunità amorose e combattenti per tagliare traguardi che il proprio gruppo, da solo, non riuscirebbe a raggiungere.

Labile è quella civiltà degli uomini fondata sul dominio delle cose e dei viventi ridotti a cose. La complessità non è sinonimo di saldezza. Il pensiero unico del potere non uccide l’unicità possibile dei rapporti. Finché ci saranno viventi consapevoli della propria singolarità irriducibile, e disposti a lottare uniti per svilupparla, ci sarà sempre una forma insurrezionale di vita. Basta un niente e la clessidra va in frantumi con tutti i sogni di durata del potere.

Chi non sa dove andare, possiede ancora tutte le direzioni. Chi ha paura del freddo, può sempre lasciarsi bruciare godendo del proprio fuoco. Chi affronta il vuoto, deve convincersi di non avere niente da perdere e che le difficoltà nel conoscere il mondo rendono quest’ultimo solo più avvincente.

Se qualcuno vi dice che siete incontentabili e che per questo non sarete mai felici, ciò potrebbe significare che non vi accontentate di un appagamento diverso dal vostro e che preferite rincorrere la gioia in ogni nuovo giorno anziché saperla rinchiusa per sempre nel vostro pugno. D’altronde, che senso avrebbero la gioia, la passione, l’affetto, se non poteste prodigarli ogni volta a modo vostro scatenandoli in giro come se fossero degli animali in calore?
Una vita povera di poesia non è inevitabile. Fuori dal cerchio magico della speranza, si possono innescare rapporti per incarnare la propria decisione a negare ogni servitù. – Allo stesso tempo, si può essere padri e figli del movimento, in un andirivieni senza posa, senza centro.
Il mondo non è a senso unico, il mondo chiama semmai all’unicità del senso. E cos’è il senso, se non il desiderio di un’unità del mondo esperibile almeno per pochi istanti? L’attimo non è un parente povero dell’eternità. L’attimo è la furia della materia vivente che squarcia la frammentarietà delle vite per generalizzarne la lotta vitale contro ogni frammentazione. (…)