Vengo da giorni in cui ho fatto fatica a ritrovare le mie leggerezze, giorni che son stati come una sorta di urlo continuamente rappreso intorno alle mie ossa.
Dopo anni di battaglie inutili, ho smesso di voler bene alle mie abitudini.
Scopertomi troppo difficile, ho preteso allora una nuova mancanza di facilità per il pensiero e innescato un processo rischioso – ma nient’affatto inconcludente – per rimescolare le carte al centro stesso della mia vita.
Una rottura dell’abitudine, sì, e svariate pennellate di nero per aumentare il contrasto tra i desideri e l’evidenza di ciò che li zavorrava inutilmente.
Dalla tarda adolescenza, so essere molto feroce nella liquidazione dei luoghi comuni che arrivano a stregarmi.
Detesto i percorsi consueti, la predestinazione dei passi, e sento che è la mia stessa fisiologia a incitarmi sovente allo smarrimento.
Ho dei nervi randagi, a quanto pare.
È curioso, lo so, aver bisogno del nero per ritrovare lo sfavillio del sole, eppure è così, c’è poco da fare; non riesco a ostacolare questo periodico franamento delle mie certezze e, tutte le volte che ciò accade, mi tocca ridisegnare il territorio “domestico” delle pretese.
Cerco forse l’illuminazione? O un radicale ottenebramento in pieno sole? – La luce non è affatto un’idea morale e io non sono per niente disposto a brillare di luce riflessa.
Nei giorni appena passati, non solo ho ritoccato la mappa del mio territorio, ma ho anche dovuto costruire una nuova ospitalità, reimparando ad accogliere l’Altro (e una parte di me) per non rendere vacuo il futuro delle mie parole.
Pensando e camminando in compagnia, posso dire di essere riuscito almeno nell’intento di non confondere tutte le vie.
Lungo movimenti che si realizzano soltanto non ancorandosi al destino di una relazione, forse ho imparato a dismettere qualsiasi direzione. Il che sarebbe una grande conquista, una conquista che non implicherebbe alcuna invasione, alcun perimetro, ma solamente un diuturno transitare.
Io e te, cavalcando le onde del possibile, senza più pretendere la stupida bellezza di un naufragio.
Laureana Cilento, 27 aprile 2019. (Fotografia: Nicolas Comment).
Un sonoro “sti cazzi” spazza via tutti i dubbi.
Non è nel mio stile. Troppo facile. Sono più un rompicoglioni metodico. 😉
rompere i coglioni è una scienza esatta e programmabile, tu sai scrivere quindi non rompi, anzi
A dire il vero, caro Flavio, mi sono ammorbidito molto in questi anni. Sarà che vivo da solo senza vedere umani anche per interi giorni, ma la mia protervia e il mio carattere spigoloso si sono in parte placati, per lasciare il posto a una diversa problematicità, che ha a che fare col rapporto diuturno con ciò che si chiama “natura”. Intendiamoci, non mi sento mai solo: a parte i miei animali e qualche sporadica visita femminile, ho con me le parole, con le quali l’Altro, come puoi ben capire, è sempre presente. Ecco perché ritengo la scrittura un’amica fedele. A volte riottosa, ma pur sempre fedele. (Che me ne farei delle mie presunzioni non avendo più la necessità di giocare a chi c’ha il concetto più lungo?). 🙂
coerenza