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Estratti dal mio Vieni: tumulto, carezza (stella*nera/Ab imis, 2019). La foto è di Chevalier de la Barre (La mésange, 2018).

Il povero Adamo non aveva capito un cazzo, a quanto pare. O forse aveva solo finto di non capire che Eva, il serpente e l’albero della conoscenza erano un tutt’uno inscindibile, vale a dire un ponte tra l’uno e il tutto, tra il sé e la molteplicità dei mondi, tra il corpo carnale che mi pensa e i pensieri che mi consentono di attraversare ogni corpo. Anzi, non l’uno, non una qualche sadica divinità, bensì l’unico, l’irriducibile, l’indicibile, il mortale creatore di sé, il quale tocca la tua bocca e parla, tocca la tua pelle e si scalda, ama il tuo sesso e genera insieme a te il cielo e i bassifondi del pensiero.

La vita è un abbaglio della materia, un singulto ironico del cosmo.

La scrittura erotica deve tendere allo spasimo. Deve torcere la sua stessa retorica e farne delle tumescenze verbali. Nessuno sconto al senso, ai sensi. Occorre riportare amorosamente le intemperanze del pensiero, anche a costo di apparire brutali. Un culo non è mai soltanto un culo, intendiamoci, ma è pur sempre soprattutto un culo.

Facemmo nostra la lezione del vento, la leggerezza incauta del pettirosso. Contro la felicità di Dio, inventammo arabeschi di saliva e imboscate di lacrime. Ecco l’innocenza, la tempesta: volerci assolti, in accordo, nonostante tutto.

Lasciami un pezzo di pane per il ritorno e concedimi almeno un altro avvento di germogli. L’anarchia è l’avvedutezza del potatore che non tradisce la necessità del taglio, il rivolo d’acqua che sogna una teoria d’inondazioni per ogni amore rimasto in secca.

Poesia è dove cede il dubbio e appare il limite della bellezza.

Un giorno, inesorabilmente, le parole che vado scrivendo per te si perderanno nell’immensità dell’universo.
Nessuna forma riesce a resistere alla gioia della materia. Tutto si ricombina. Le opere dell’uomo – lo sappiamo bene – non potranno mai pretendere l’eternità. Anche Dio è stato fagocitato dal movimento della sua creazione.
Proprio per questo, m’interesso agli interstizi tra le parole, non alla loro durata; ai vuoti da colmare tra di esse, non alla legittimazione del loro senso.
Scrivo per te e godo. Ti regalo una giostra di parole e ci faccio giocare le nostre menti. Apro i cassetti del corpo e lascio che ogni emozione prenda aria.
Tanto il resto è solo un mucchio di stronzate, soltanto un mucchio di fesserie impavesate.