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Non serve a niente arare il deserto. Al massimo, la cosa può condurci a tracciare una qualche effimera bellezza. Il che può anche essere piacevole, intendiamoci. Si tenga però da conto che la bellezza ha senso solo quando ci agevola la traversata del deserto; in caso contrario, essa rimane un’arida decorazione dello smarrimento.
Prima del libro vengono gli alberi, e prima degli alberi viene la continuità dei semi.
Un pettirosso ha la stessa importanza di un Marx o di un Deleuze, ma si arriva a una tale esperienza dell’Altro soltanto attraverso un determinato percorso del pensiero, una data collocazione di sé dentro il territorio del sapere. Senza la consapevolezza della lotta o dei concatenamenti, non si giunge a vedere, a dispiegare le ali della propria potenza.
Bisogna amare la semplicità dell’affetto e della lotta, sapendoli unire in una loro immediata compiutezza, il che implica soprattutto una radicale potatura dei saperi odierni. Sarà vitale che si riesca a far passare aria e luce tra i sogni, le idee, i progetti. La gravità va trasformata in rigore gentile. Non si può pretendere che un fiore nasca dal cemento, ma non si può neanche pensare di poter rompere con ciò che ci divide facendo affidamento soltanto sul nostro desiderio di superamento. D’altronde, che senso ha il diventar schiavi di una nostra presunta padronanza sullo spazio? Che bellezza può esserci nell’arroccarsi dentro speranze che uccidono la gioia? Per quanto ancora ci sentiremo appagati subordinandoci all’abitudine dei nostri scambi e alla dittatura dei nostri stessi valori?

 

Laureana Cilento, 27 maggio 2019. Fotografia: Joyce Tenneson.