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Un tentativo di oltrepassamento di alcuni luoghi comuni del discorso erotico novecentesco: Bataille, Duras, Stirner, l’ostensione della fica, la “malattia della morte”, il godimento possibile e impossibile, ecc. ecc. (Foto prese dal catino del web).

 

 

Nel pensiero occidentale del XXI secolo, dopo la sbornia ideologica del Novecento, si dà ormai più importanza ai nomi delle cose anziché alle cose, all’inseminazione anziché al seme, giungendo contraddittoriamente a pregare l’assenza di Dio fino a riderne senza più alcuno sprezzo del patetico.
L’albero della conoscenza, assediato da ogni lato dai rampicanti dello scetticismo e della disillusione, ha perso memoria dei concatenamenti indispensabili tra radici e frutti, e se ne sta rachitico, in mezzo a una miriade di saperi frammentari, come risultante di un mondo che gestisce la frammentazione e la perdita di senso inventandosi senza requie un post-qualcosa blandamente terapeutico.
Laddove gli -ismi permettevano la gestione autoritaria dei saperi, oggi abbiamo un mondo che si aggancia ai propri postumi politico-culturali nascondendone le implicazioni dispotiche attraverso la liberalizzazione democratica delle tecnologie.
Per intanto, almeno da Bataille in poi, se mi costringo a pensare alla morte, e soprattutto alla mia stessa morte, giungo a ridere di tutto, anche della morte degli altri, ma senza disgusto, senza disprezzo, calandomi in ogni morte come se mi spogliassi nudo di fronte alla più grande eventualità di vita. – Immaginate dunque quanto potrei ancora ridere se uccidessi in me anche l’ombra di Dio!
Proprio il processo storico chiamato Dio si è rivelato l’ultimo termine prima che i nomi esplodessero in un nuovo corpo – e questo corpo novello è il comune, l’assenza di termini, di confini – dove confine non è sinonimo di estremo.
L’estremo non tollera limitazioni. Può insediarsi ovunque. Non è ricerca del vizio, bensì poesia, coltivazione del miglior senso possibile applicata al conseguimento della soddisfazione, della gioia, e che dà un senso al divenire, alla comunità di chi ritrova l’Altro soprattutto – (o forse soltanto) – attraverso la continuità dei propri smarrimenti, dei propri entusiasmi, senza più asservirsi storicamente ad alcuna speranza.
In Madame Edwarda di Georges Bataille – racconto esacerbato, da educanda ormai avvilita (cfr. Oeuvres complètes, tome III, Gallimard, Paris, 1971, pp. 7-31) –, Dio si prostituisce e prende le fattezze di una donna lussuriosa, «malata», febbrile, così da poter avere ancora qualcosa da dirci all’estremo di ogni racconto, di ogni narrazione. Ostentando un sesso beante, e facendosi più nuda della morte, Edwarda si spalanca le grandi labbra e sembra dirci: ho perdonato all’uomo di essere uomo, al maschio di essere maschio e a me stessa di essere femmina; ora posso amare chiunque, anche chi mi porta in dono la sua morte, ma solo se non mi seppellisce sotto la verità economica dell’amore. [ continua >>> QUI ]