Tag

, , , , ,

 

La gioia rivolta le zolle che
fanno il tuo corpo
e urla dall’altro lato della mia morte.
Son stato ad appena un
abbraccio con tutte le cose.
Nessuno, nessuno mai potrà perdersi
per la foresta che ci legge.

Oggi pomeriggio ho salvato un piccolo topo dalle grinfie di una delle mie gatte; ancora qualche secondo e sarebbe stato spacciato. Non per questo mi sento però un dio o ritengo di meritare un premio. L’affetto autentico sta nell’andare incontro agli altri senza pretendere necessariamente una qualche rivalsa. Nondimeno, per alcuni istanti decisivi, mi son sentito il miglior amico di quell’animaletto, e la sensazione è stata bellissima.
In questi ultimi anni, ho imparato ad avere compassione per le pietre, le stelle, le spine indelicate della vita, e la luce dei miei giorni è diventata più morbida, più calda, finanche in pieno inverno.
Non si muore di sola morte. Si muore anche e soprattutto col disamore, col cinismo che ci allontana dalla vita indifesa, dalla poesia semplice ed effimera dei possibili.
Nel mondo che viviamo, e che mai possederemo per intero, esiste la gioia di sentirsi persi fra gli alberi, le pietre, le braccia dell’Altro. Non esiste nessuna salvezza e non si dà alcun riscatto oltre l’affetto possibile fra i viventi. Dovremmo quindi saper cicatrizzare le nostre contraddizioni col giusto riguardo verso le ferite degli altri. Il nostro sangue non sarà mai soltanto nostro.
(Un’ora dopo, ahimè, un secondo topolino è stato ucciso da due gatti di casa. Il destino, malgrado tutti i nostri sforzi, si porta dietro una poesia netta e implacabile che non capiremo mai.
Gli ulivi restano impassibili. Il sole tramonta. Che cosa finisce? Che cosa ci finisce nella morte degli altri? A quale nostra vita ci affida?)

Scoprirsi infondati,
prossimi ad ogni alba.
Muore anche la morte,
nella violenza del seme.

 

Laureana Cilento, sette febbraio MMXX. Nella foto: il roditore messo in salvo.