Dovrei dimenticare, trascurare il dubbio andato, e fare della morte una fiaba senza uscita, senza giudizio. Invece, non riesco affatto a pensarmi in superficie o a vedermi dentro una teca poetica. Ho visioni ancora maledettamente legate al comune impossibile e continuo pur anche a sentire l’emergenza di ogni filo d’erba che buchi il destino della terra.
Oscillante tra furie inconsulte e tenerezze indicibili, mi faccio predatore del mio stesso affetto e piazzo trappole per incastrare maldestramente ogni scampolo d’assoluto che mi faccia compagno di un’eternità bastarda.
Una gentilezza inflessibile
ti scolpisce dentro la nostra mancanza d’orizzonte
e accarezza la predatrice che
si rifiuta d’azzannare le mie contraddizioni.
La tenerezza è la messa in parentesi del cazzo,
il sorriso sulle ali del nibbio,
la protervia punk della primavera che
blandisce l’albicocco appena potato.
La notte scorsa, più volte, ho sentito guaiolare una volpe proprio dietro casa. Febbraio è mese di amoreggiamenti per le piccole bestiole, che emettono un verso caratteristico, una sorta di urlìo strozzato che sembra uscito da un B-movie horror.
Sentirle mi mette comunque di buonumore. Ormai son parte del mio paesaggio mentale, acustico, e mi ricordano che questa terra appartiene non solo a me, ma anche a loro, ai barbagianni, ai tassi, ai cinghiali, alle poiane, ai biacchi.
In loro compagnia, posso solo amare ancor più l’intimità accorata della vita che non conosce servilismo e che si mostra oltremodo diffidente nei confronti di ogni indifferenza.
Laureana Cilento, 16-18 febbraio MMXX. Fotografie: Katerina Plotnikova.