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L’amore si mantiene caldo soltanto se non gli facciamo ombra con la nostra poesia.

Vorrei dirti qualcosa di tenero e porco. Acchiappare tutte le mie parole e farne un falò d’entusiasmi. Ridere con te di ogni pensiero andato a male. Accarezzarti le cosce quando pensi alla morte. Concepirti tutta nuova ad ogni carezza e saperti lieve come una corona d’alghe sulla spiaggia. Invaderti, amarti, radicarti come fanno in me i residui d’eterno che mi tengono desto tra un tiro di sigaro e una pagina di Maldoror.

Non è detto che sia facile ritrovarsi, quando gli altri ti pèrdono. Vi è un labirinto in ogni tentativo di chiarezza. Ma chi può negare, soprattutto a se stesso, che non si possa baciare il destino anche al buio?

Eliminare il superfluo è facile. Molto più difficile è tagliar via il necessario che ostacola la tenerezza.

Annusavo la gioia del tuo sesso
e mi chiedevo in cosa si potesse vivere la
distanza tra i nostri corpi e l’irrimediabile.
L’erba tagliata di fresco
aveva il profumo dell’impossibile
e in ogni sollievo c’era una risposta che
si portava dietro tutte le domande.

Che cosa muore nell’amicizia con la morte? In quale nostro corpo si cela l’interrogazione definitiva?

 

Laureana Cilento, 26-29 febbraio MMXX. Stampa giapponese di cui non conosco né il periodo, né la provenienza, ma che esemplifica, ai miei occhi, quel “tagliar via il necessario che ostacola la tenerezza” (e lasciare che il gatto possa continuare a dormire indisturbato).