Tag
abitare il movimento, Barrett Biggers, la gioia intransigente, nomadismo del desiderio, potature, ulivi, Vaffanculo morte!
È quasi un anacronismo scrivere di alberi, gioia, amore. Le parole mancano i corpi. L’umano fallisce sempre più riccamente. La poesia stessa è ormai una forma patetica di accumulazione istupidente.
Solo i fiori della borragine, solo i polloni indisponenti dell’ulivo mi ricordano l’adiacenza dell’essenziale che andrebbe ancora detto e dei corpi che riescono ancora a fiorire nonostante ogni cielo traditore.
I miei rimpianti, con ogni evidenza, non costituiscono di certo una collezione significativa. Pur tuttavia, mi rendo conto benissimo, e assai lucidamente, che niente o nessuno ha mai esaurito la mia continua ricerca di soddisfazione.
Dentro il territorio dei miei giorni, non ho mai saputo (e credo ormai di non voler sapere) che cosa significhi accontentarsi. Sono e resto un uomo dai continui rilanci, dalle incessanti aperture.
Beninteso, il mondo non mi deve niente. Non gli elemosino un assoluto posticcio, né pretendo stupidamente che esso mi lasci a una vanagloria culturale o a una qualche sicurezza mortifera. Proprio per questo, e a dispetto dei miei tanti sconcerti, non faccio altro che pretendere uno spazio immane dal mio stesso possibile.
D’altronde, quale soluzione trovare all’incidenza del movimento che mi porta? Esiste da qualche parte – in qualche corpo – una soluzione praticabile? Non sono forse io stesso un’irrimediabile mancanza d’accortezza d’ogni desiderio?
Divenire allora un cocciuto predatore dell’impossibile – teneramente, ottusamente – e incarnare un fuoco, un orizzonte degli eventi, una soglia invalicabile.
Può mai esserci contraddizione più bella e decisiva?
Trovare una voce che dica la potatura. Dedicare gli artigli della poesia alla mia musa ingovernabile. Rovinare il filo della scure sulla baldanza della mediocrità.
Oggi ho avuto due lutti: ho perso l’amore ed è morta una persona che apparteneva alla mia famiglia.
Provo a non pensarci. Cerco di svuotare la mente. Ma dov’è la spina? Dove stacco il flusso degli eventi almeno per qualche ora?
Me ne sto fuori al buio. Fumo, bevo, sento freddo. Mi viene quasi da piangere. Ma resisto. Non posso che ostinarmi a vivere e a pretendere una leggerezza anche dalla morte. Ho forse delle alternative?
Intanto, sento ridere gli ulivi, li sento ridere in un angolo della mia testa. Verso valle, una volpe si mette a urlare.
Ecco. Niente finisce davvero. Niente si accartoccia definitivamente intorno alle pretese di durata. Si vive, si muore, si urla, si ama. Inutile chiudersi. Inutile morire in anticipo dentro il proprio dolore.
Laureana Cilento, 5-7 marzo 2021. Illustrazioni: Barrett Biggers.