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Hildegarde Handsaeme

Un piccolo nido tra i rami della morte. Una lama di luce che chiama a raccolta i semi del giorno. Un sano ed ingenuo incespicare lungo la via del risveglio.

Evocare il sorriso delle pietre che fanno la nostra casa. Scioglierci nel pianto dell’ulivo che riconosce il nostro olio. Abitare senza più peccato nella mancanza di parole di ciò che urla infinitamente dentro la gioia della materia.

Vorrò danzare. Vorrò cadere. Nessun inciampo può frenare la faina combattente. Nessun dolore può minare la dea proterva che sorride lungo il sentiero.
I cani rabbiosi dell’ideale azzannano invano e per sempre la corteccia dello stupore.

La poesia, questa figlia proterva del mio affetto verso la trasformazione: un buco nell’acqua dei miei occhi; una carovana di formiche sul bordo della morte; un tumulto che rivendico ad ogni carezza e che mi lascia ogni volta stupefatto.
Ciò che mi piace non è detto che sia vero. La mente partorisce ragioni anche nelle notti più fonde. Il desiderio è un sogno della materia, un appuntamento al buio tra me e il nostro possibile comune.

Il tuo piccolo corpo di donna che s’inventa alterchi con l’universo per non darla vinta alla poesia morta e che sa di Lucania, di follie generose, di gioie da pettirosso indisponente.
Il tuo corpo in miniatura di donna-violenza, di donna-tenerezza, che si scontra e fa l’amore coi luoghi comuni della mia passione. Senza sconti, senza parsimonia, senza più alcun bisogno dell’infimo infinito dei preti.

Alberi austeri e scevri da ogni forma d’umiltà, gli ulivi non conoscono l’imbarazzo della morte. Hanno una logica di ramificazioni che gioca incessantemente col potatore; quella lenta, inflessibile logica di chi germina entusiasmi da vite anteriori, da radici ferme, calme, e che non teme alcun taglio.
L’eternità li tollera, ne imbandisce il rigore verde-nero, ed essi ammiccano ai corrieri incauti dell’eterno.

Non si esce mai liberi dalla scrittura, se si scrive sempre e soltanto a partire dalla propria idea di libertà.
Anzi, si finisce spesso per agire come il pittore Monet, il quale, iniziato a ritrarre un albero in inverno, ne fece poi strappare tutte le foglie primaverili per preservarne il modello e ultimare il dipinto che aveva in mente.

La natura non ha niente di vizioso. Il vizio nasce, ogni volta, dalla trasformazione in valore morale (o amorale) del vivente di cui si gode.
Per cui, accarezzo quel culetto delizioso che ti ritrovi e mi riapproprio della materia in quanto unicità immediata della presenza e in quanto sconfitta morale della mia indeterminatezza poetica rispetto alla tua critica di carne della mia stessa carezza.

Permane ancora una parte di Dio nella nostra concezione della materia. Il sesso dispotico di Dio si riflette nel nostro accanimento a servirci dei valori in ogni ricerca di determinatezza.
In altri termini, la ragione critica si appella continuamente alle connessioni superficiali invocate dalla poesia e contrappone la Forma all’unicità della materia e alle sue relazioni uniche tra negazioni che si abbracciano, strenue, per risolvere non contraddittoriamente la poesia.

La nostra carne poetica – il nostro toccarci senza più nomi, né chiamate alle armi – non è dietro o al di là del fenomeno in cui si bagnano i miei occhi o la tua fica. Il manifestarsi dell’essenza è l’apertura e il rovesciamento della forma in contenuto e del contenuto in forma.
Esigere l’immediato dall’informe significa mirare ad ogni possibile della nostra presenza, soprattutto quando quest’ultima rimanga sovranamente senza nomi possibili.
Esigere dunque la primavera. Assecondare il tumulto delle germinazioni. Fare l’amore e accarezzare gli esplosivi ereditati dai padri e dalle madri della differenza, pur sapendo che ogni nostra presunzione d’amore può morire sotto le bombe della poesia.

Benedetto il filo d’erba che non ha alcun bisogno di un dio per lasciarsi calpestare!
Sotto un cielo vuoto e azzurro, la nostra mente fallisce ogni gravità e si apre incauta a tutte le idee inadeguate che fanno la bellezza senza durata dei viventi.

Laureana Cilento, 12-16 marzo 2022. Illustrazione: Hildegarde Handsaeme.