Quest’energia che chiamo affetto, quando inizialmente può ricordarmi un inciampo della materia, della mia materia che intuisce il comune, delinea senza posa una traccia nello spazio e nelle mancanze del tempo.
Un modo accorato per restare dentro l’immediatezza senza nomi e che i nomi possono solo rincorrere.
Un modo per dirvi: avvenite, venite a me con garbo e decisione, non abbiate paura, avvenite come pozzo notturno del mondo o come stella che collassa al di fuori del patetico universale di un amore. Concedetevi un’esigenza di germoglio. Regalatevi la capacità del rampicante che abbraccia la sua stessa protervia.
L’incapacità di cogliere l’unicità del vivente – la quale, anche quando rimane inconcreta, permane tuttavia semplice – non può farci credere che le rappresentazioni particolari siano le fibre e le sedi della ricchezza.
Uscire dallo specchio delle parole.
Dall’altro lato, nell’aldiqua del pensiero e del pensarci, nidifica il contenuto mortale dell’origine.
Mano nella mano, e spalla a spalla, non sarà mai tardi per respirare l’unione.
Le labbra irredente della mia mente che si schiudono al leccamento dell’impossibile. L’amicizia della gramigna poetica. Il corpo-erpice dell’anarchia contro il corpo-carcere della pornografia di Stato.
Metto a tacere
una buona volta
le ombre stronze dell’amore
e la cavalla mal ferrata del desiderio.
Scrivo per abbandonarvi,
scrivo per sbottonare l’infinito.
Non sarò mai il vostro segnalibro di carne.
Laureana Cilento, 4 aprile 2022. Illustrazione: Aykut Aydogdu.