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GiulioBargellini

a Silvia Fera

Il principio dell’amore implica la determinazione infinitamente importante secondo cui, per accettare e considerare vero il corpo amato, è necessario che l’amante non sia soltanto presso di sé. In termini più precisi: è necessario che l’amante trovi il corpo amato in accordo e consonanza con la certezza di se stesso.
La rabbia si scioglie e ti trovo nel lampo delle parole che t’accarezzano dentro la mia testa. Penso così all’asterisco della tua bocca nel cuore della poesia, all’asterisco delle tue mani intorno al mio collo, all’asterisco del tuo nucleo poetico sotto la mia lingua ruffiana.
Il fatto che sei al mondo mi aiuta ad assecondare la mia voglia di più destino. La ragione soggettiva esigerebbe sì una soddisfazione comune secondo le sue forme, ma queste forme della ragione si vanno infrangendo, una per una, contro l’odio della necessità che il mio sangue innalza a principio dell’amore soprattutto grazie alla tua presenza.
Voglio cercare delle frasi che non mi nascondano. Voglio delle parole che non arrivino a salvarmi poeticamente dal tuo sguardo, dalle tue ferite. Voglio appoggiare la testa sul tuo seno e sentire tutto il fragore del destino.
Ho sete. I miei rami cercano la rabbia dei fiori. Prendo in bocca tutta la tua poesia e, senz’alcuna pietà per gli uomini, la sputo sul mio stesso sesso.

Serve sempre un minimo d’incoscienza per amare, per aprire un varco insieme all’Altro, soprattutto nel tentativo continuamente reiterato (e determinante) di eludere il fatto che un giorno torneremo tutti a ricombinarci nel nulla da cui veniamo. Servono incoscienza, propensione all’ironia e un’abilità a disinnescare anche le contraddizioni dell’amore, se un tale “disinnesco” si riveli decisivo per la nostra prossima gioia.
L’incoscienza è la disposizione ad amare l’ignoto amando le nostre contraddizioni e usandole criticamente (ma anche affettuosamente) contro le contraddizioni del mondo esterno al nostro amore.
Io e te, opponendoci ai risultati del pensiero e della poesia meramente intellettivi, restiamo fedeli alla nostra materia carnale – possiamo anche chiamarla: corpi aperti alla bellezza pratica, corpi-athanor, corpi dalla vita poeticamente irrimediabile – mettendola altresì in comune (comunizzandola) per non mancare al movimento del Negativo, ossia a quel movimento del nostro affetto capace di sormontare amorevolmente la non identità originaria delle nostre passioni e delle nostre inclinazioni.
In una tale dinamica, fatta di godimenti, ma anche di continue tentazioni di chiusura, l’ironia sta nel mettere in luce, con leggerezza e protervia, i limiti della propria soddisfazione, nonché la possibilità di ulteriori sconfinamenti dalla propria unicità al due, dal due ai molti e dai molti alla propria unicità.
L’adagio popolare recita che «chi s’accontenta gode». Io invece son sempre stato persuaso del contrario. Coloro che s’accontentano dell’abitudine o della banalità di certe presunte conquiste sentimentali, culturali, ecc., tentano d’ingabbiare vanamente il divenire folgorante dell’ignoto, dell’azzardo, e pertanto della poesia, dell’insurrezione erotica e affettuosamente anarchica di mente e corpo. Un altro motivo, se ce ne fosse bisogno, per odiare il popolo.

Soggetto, perdi Vate e complemento:
il discorso s’impunta e
non mette punti – discolo!
Un libro aperto, le cosce aperte,
lingua-morta tra le pagine,
lingua-viva nel tuo culo.
Che perdizione – la principesca razione del
nulla in questa perversa nullità del verso!

Laureana Cilento, 24-25 settembre 2022. Opera: Giulio Bargellini (1875-1936), Pigmalione e Galatea, 1896.