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L’opera della surrealista anglo-egiziana Joyce Mansour (1928-1986) ridisegna senza posa una cartografia dell’amore carnale sottraendolo poeticamente all’utilitarismo e ai buoni sentimenti; il tutto grazie all’espressione di un’energia vitale che rimane ricca di humour e di fervido erotismo.
Per dare un’idea del personaggio, riportiamo qui di seguito una testimonianza di Claude Courtot (membro del gruppo surrealista nel 1964-69): «Avevo fatto la conoscenza di Joyce e di Breton nel 1964. Al caffè La promenade de Venus, lei si sedeva sulla panca in fondo alla sala, sotto il grande specchio, in modo da essere di fronte a Breton (…) chiedeva regolarmente del rum e fumava un sigaro enorme che, per uno strano contrasto, rendeva ancora più femminili i tratti del suo viso di bambola bruna dagli occhi attraenti come pozzi. (…) Rileggo non senza emozione questo breve annuncio apparso su France-soir del 15-16 ottobre 1967: “Cerco sogni da collezionare. Scrivere a Joyce Mansour, 1 avenue du Maréchal-Maunory. Parigi 16°.”» [Claude Courtot, Les Ménines, Le cherche midi éditeur, Paris, 2000, pp. 109-110.].
Per la cronaca, ho curato nel 2003 una minuscola antologia di testi mansouriani per la Nautilus autoproduzioni di Torino: Joyce Mansour, Fiorita come la lussuria, splendido libricino che contiene l’estratto che segue, nonché, nel 2017, l’antologia surrealista Il sesso senza fine va a letto con la lingua ortodossa, che raccoglie a sua volta Le Grand jamais nella sua integralità.




Il GRANDE MAI

(Le Grand jamais, 1981)
frammento

(…)

Lavatevi gli occhi con l’urina
Sciacquatevi la bocca con l’urina
Bevete l’urina delle vostre vacche sacre
Nello stivale segreto
Di un uomo senza gambe
Dimenticate l’Oriente
È la vita
Il crepuscolo si staglia come un culo sulla panca
Il bel pomeriggio muore ovunque
Portate il lutto ma per ridere
Una talpa sventrata insozza il sentiero con le sue viscere
Ma non il topo
Animale dell’ordine e del ghigno
Il topo crepa ritto
Di fronte all’oppressore mostrando tutti i denti
Inutilmente vorace nella torba fradicia
Il quadro dell’orizzonte sfuma all’imbrunire
La morte brandisce il suo intestino rugoso
Davanti alla porta dell’utero
È la vita
Strappate al cadavere tre unghie incarnite
Due verruche
Un piede piatto
Simulate un’erezione
Rompete l’imene ostinato
E tornate domani
Vinti dall’insonnia
È la vita che si annuncia
È la vita

Tanto va la testa all’acqua
Che gli occhi annegano
Sul guanciale cannibale
Tale è il sonno
Contatore di solitudini
Corsa di topi nelle gallerie dell’utero
A partire dalla duna
L’idea fissa gira in tondo
Inalberandosi
A che servono le decorazioni
I fiori i pianti le perforazioni
Una volta tirata fuori la lingua
Bisogna mungerla

Alcune idee superstiziose
Circolano
Altre mettono radici nei corridoi dell’insonnia
Lutero consiglia lo scherno
Come arma leggera contro gli spettri
Joe aveva dello spirito ma sua madre no
Fesseria che la dice tutta
E Honorine si lasciò prendere da dietro
Senza dimenticare le genuflessioni di rito
Lo sguardo fisso
L’ala e il sale sparsi
Sull’Immagine

Nel cielo del sole invisibile
L’occhio folgorante sanguina
Gira su stesso
Si rovescia
Fa glu glu
Un occhio coronato di spine
Gran ciotola di sonno limpido
Appesa come un’icona
Ad un chiodo
Una medaglia signor abate
A gravare sulla palpebra
Quando il pavimento cede
L’occhio selvaggio
Sbatte le ciglia dietro la fontanella
Strappiamolo come un dente guasto
Meglio essere miope che veggente
In un mondo di piccoli roditori