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Ho conosciuto Claude verso la fine degli anni Novanta, quando all’epoca era il presidente dell’Association des Amis de Benjamin Péret. Sono stato a Parigi suo gradito ospite un paio di volte e ricordo con estremo piacere le serate trascorse a parlare di surrealismo, amore e libri. Mi aiutò molto, all’epoca, nel recuperare materiali per il mio lavoro su Péret pubblicato da Nautilus e per l’organizzazione di una mostra fotografica sul poeta surrealista che ha girato l’Italia a cavallo degli anni 2001-02 (Torino, Cagliari, Sassari). Un uomo squisito, Claude Courtot. Nato nel 1939 a Parigi, Claude ha fatto parte del gruppo surrealista bretoniano nel secondo dopoguerra. Professore di francese in pensione, è un fine scrittore, autore di opere in cui rimangono centrali gli elementi autobiografici. Il brano che qui vi propongo è tratto da: Bonjour Monsieur Courtot, Paris, Ellébore 1984. Le illustrazioni sono di Hans Bellmer e di Gustave Moreau (Jupiter et Semélé), mentre le note in calce al testo sono mie. [Courtot è scomparso il 5 agosto 2018].

“Da Silvia alla mia carissima Dominique (infermiera) messaggio (masturbatorio) Non si può conoscere, non ci si può vantare di conoscere veramente qualcuno finché non lo vediamo godere… E per di più, se egli si dà da solo il piacere, si giunge al più profondo di lui stesso, del suo essere… Masturbarsi davanti a qualcuno è offrirsi sul serio… Si può barare facendo l’amore, mai masturbandosi di fronte all’essere che si ama. Poche donne accettano d’offrire questo dono, tu non fai eccezione, quindi non mi ami ed io, sapendolo, preferisco lasciarti definitivamente per un altro mondo. Sii felice col tuo dottore, ma ditti anche che nessun maschio accetterà d’offrirti questa prova d’amore. Sto per prendere il metrò, addio. La tua Silvia che t’amava.”

“Ti ricordi Ero accucciata ai tuoi piedi. Ti sei avvicinato e mi hai abbassato i pantaloni fino alle ginocchia. Io credevo semplicemente che ti piacesse guardare il mio culo ed ero piuttosto fiera. Allora ho subito abbassato i miei slip. E poi… mi chiedo ancora cos’è che m’hai infilato nel culo. (La serie dei colpi che poco dopo m’hai dato col cazzo non andava male). Ma la faccio corta, tanto tu hai afferrato sicuramente: amo le tue grandi dita pelose e il modo con cui le fai scivolare tra le mie cosce. VEDIAMOCI allora questo sabato alle 17 presso il parcheggio della Samar davanti all’uscita degli scarichi.”

“Il metrò alle ore di punta Ci sono delle ragazze a cui piace farsi accarezzare il culo, il sesso o il seno da uno sconosciuto sul metrò nelle ore di punta ossia verso le 17.30 tutti giorni dal lunedì al venerdì. Se sì, vi do appuntamento davanti alla 1a classe nella stazione di “concorde” direzione “porte de la chapelle” con il giornale LIBERATION sotto il braccio destro come segno di riconoscimento. Se vi eccita, potrete toccarmi anche voi.”

(Brevi annunci tratti dal giornale “Liberation”, giugno-luglio 1980)

Supponendo che coloro che passano tali messaggi alla stampa siano veramente disposti ad andare fino in fondo a ciò che promettono, supponendo che gli autori di questi brevi annunci abbiano superato il livello dello scherzo volgare, supponendo che non si tratti di saggi letterari per testi erotici mediocri, occorre forse vedervi, come fanno certi rivoluzionari, il vero linguaggio della passione, l’espressione che libera dai fantasmi, il soffio del desiderio? O non piuttosto la confessione penosa che si accetta, o che addirittura s’incoraggia – in nome di un vasto esibizionismo collettivo – dell’opera sistematica di avvilimento dell’individuo? La festa può aver luogo soltanto nelle latrine pubbliche, i cui graffiti somigliano tanto a queste dichiarazioni? Si spera forse di re-inventare l’amore e liberarlo dagli interdetti che pesano su di esso, ricorrendo ai gesti e al vocabolario della canaglia che vive per l’appunto nella più grande miseria erotica?

Io non escludo nessun comportamento sessuale. Non disprezzo nessuna minoranza erotica; so che ognuna di loro è la manifestazione di una delle mie pulsioni latenti, so che posso ricoprire tutti i ruoli in qualsiasi partita erotica. Ma ho orrore di quelli che portano le loro perversioni virtuali all’occhiello. Ho fatto le mie scelte e da molto tempo ho chiuso la mia porta ai rappresentanti di commercio d’ogni genere. La libertà sessuale mi è sempre parsa un’esigenza così evidente che non vale neanche la pena parlarne visto che il principio è acquisito senza possibilità d’equivoco (non pretendo certo che le cose siano a posto così, ma nessuno può negare che immensi progressi siano stati fatti su questa strada negli ultimi anni). In quest’ambito, il riconoscimento del principio è più che sufficiente: non capisco di cosa s’impicciano coloro che si preoccupano per l’uso che ciascuno fa di questa libertà. Qui come altrove, la libertà mi sembra però una condizione necessaria ma per niente sufficiente. È solo il mezzo per arrivare ai miei fini. Mi pare molto pericoloso e particolarmente infantile confondere la libertà d’espressione con un’espressione liberata.

Museo Gustave Moreau, rue de La Rochefoucauld. Ho sempre considerato quest’edificio come un luogo d’incontro per coppie irregolari. Occorre suonare per entrarvi. Mi recito la commedia di colui che chiede asilo a degli amici: mi rifugio in questo luogo ameno per sfuggire alle prostitute della rue Pigalle. Qui mi sento in una familiare casa d’illusioni. Mi ricordo chiaramente ciò che ne ha detto Breton: “La scoperta del museo Gustave Moreau, quando avevo sedici anni, ha condizionato per sempre il mio modo d’amare. La bellezza, l’amore, è qui che ne ho avuto la rivelazione attraverso alcuni volti, alcune pose di donne.”[1] Salgo al secondo piano, lentamente, dove so già cosa mi attende. Giove è là, con lo sguardo fisso. Uno sguardo d’orgasmo. Sguardo di Dio nel suo potere di liberare la folgore – lo sperma. [2] E Semele, con quella macchia di sangue sul fianco, Semele nuda, lacerata, pietrificata… Ripenso ai miei sedici anni: la sera di un sabato molto animato, tiepido e vivace, non lontano da qui, in place Pigalle. Passeggio con i miei due migliori amici e parlo della mia malinconia, di tutta la mia tenerezza romantica repressa, delle mie passioni trasognate, del mio dolore allo spettacolo di quella folla apparentemente felice. I miei amici colgono al volo l’occasione e mettono insieme il denaro necessario perché io possa offrirmi una piccola prostituta del quartiere sulla quale avevo forse fatto degli apprezzamenti. La cosa non poteva che farmi del bene, dicevano, avevo chiaramente bisogno di una donna, ecc. Per aver avuto così poca stima di me, gliene voglio ancora oggi.

Ogni teoria concernente l’amore o la sessualità – ogni discorso che proponga un ideale d’amore – ha necessariamente la pretesa di giudicare la mia vita amorosa e sessuale, o anche dominarla. In quanto tale, io non posso che ricusarla. I testi di Breton sull’amore sono magnifici. Sono così sensibile a quelle pagine meravigliose che potrei controfirmarle quasi tutte. Ma mi rifiuto di vedere in esse cosa diversa da un’espressione lirica della concezione che un uomo che ho conosciuto, chiamato André Breton, si faceva personalmente dell’amore. Se esse formulano una teoria generale dell’amore – e pretendono a questo anche troppo spesso – allora io mi astengo dal prendere la loro difesa contro i vari attacchi di cui possono essere l’oggetto.

Tutte le società provano il bisogno di regolamentare in qualche modo la vita erotica dei loro membri. Gli etnologi hanno pure dimostrato che tale regolamentazione è costitutiva delle società. Perché non c’è niente di più pericoloso per una collettività dell’autonomia di una coppia formata da due individui uniti da un amore totale. Solo l’amore e la poesia ci rendono tanto sordi al discorso collettivo:
“La stretta poetica come la stretta carnale
Finché dura

Impedisce le prospettive di miseria del mondo”[3]
Così, tutti coloro che credono alle società armoniose, tentano di ridurre la distanza tra il discorso collettivo e quello della poesia e dell’eros. Ed io prendo atto che ciò, fino a nuovo ordine, conduce solo alla costernante volgarità di tutti i linguaggi.

Sulla spiaggia di Nizza, quest’estate, sono seduto vicino ad una donna che non conosco. Ha i seni nudi, tondi e sodi, e i capezzoli ritti, di un rosa che risalta molto sulla pelle abbronzata. È allungata sul dorso, appoggiata soltanto sui gomiti e gli avambracci, a gambe assai larghe. Porta un minuscolo slip nero che lascia scorgere distintamente i primi peli biondi e fulvi del pube celato. Appena dieci anni fa, non si poteva ammirare nelle riviste osé un’immagine più ardita di quella offertami qui da questa giovane donna. Sembra uscita direttamente da un magazzino erotico di già antiquato. Nessun dubbio che in un futuro prossimo, la stessa ragazza si sarà tolta anche lo slip, adeguandosi così alle foto che ci vengono propinate ora, tutti i giorni, dalle numerose riviste specializzate. Resterò allora freddo allo stesso modo, accanto a questa statua calda, abbandonata sui ciottoli della spiaggia dall’equipaggio ingrato di una nave mercantile?… Questa donna è al mio fianco, mi basterebbe allungare il braccio per toccare il suo corpo. E curiosamente, non ne sento la voglia. Ma so che appena più tardi, evocando questa scena, sentirò nascere il desiderio. Questa donna è protetta contro le mie attenzioni dalla presenza di un gran numero di altre donne esposte anch’esse sulla medesima spiaggia. Tutte queste donne sono protette dalla loro uniforme di pelle; si arriva così, per ravvivare l’interesse, a spiare le mostruosità. Protette anche da tutti questi bambini che giocano con le onde. Protette dal doppio strato d’igiene fisica e morale di cui si circonda questa spiaggia di vacanze. La salute, lo sport, le ferie pagate, l’assenza totale di rischio, l’amore rimborsato dalla previdenza sociale, le perversioni annotate sul libretto individuale della sessualità come se fossero vaccinazioni.

Un po’ più tardi, sulla strada che costeggia il mare, a qualche metro soltanto dagli spazi riservati alla balneazione, ho incrociato una ragazza che usciva dalla spiaggia per andare a fare, quasi sicuramente, qualche rapida compera: indossava sempre il suo costume da bagno, però senza reggiseno, contando sicuramente di tornare presto sulla spiaggia, ma nascondeva – assai male – i suoi seni dietro un asciugamano. Questa preoccupazione per la decenza – la città impone il contegno! – in una tenuta così succinta, sembrava alquanto ridicola, ma si giustificava perfettamente dal punto di vista dell’efficacia erotica. Questa ragazza, la cui andatura vivace accentuava la libertà delle natiche – avevo quasi l’impressione che stessero per aprirsi, per fendersi in due labbra carnose – provocava al suo passaggio sicuramente più erezioni di tutte le donne arenate sulla riva.

Riconoscere che i problemi sessuali, per secoli, siano stati ipocritamente dissimulati per meglio colpevolizzare gli amanti, è diventata una banalità. Il peccato originale doveva avvelenare l’amore. Da un lato l’amore sublime, dall’altro la copula bestiale. Il cuore e il culo. Sarà merito del nostro secolo aver denunciato questa situazione scandalosa. A tal punto che tutte le istanze repressive della società sono state costrette a giocare la carta del liberalismo. Questo radicale cambiamento d’attitudine dovrebbe essere sufficiente a destare delle inquietudini. Oggi abbiamo riabilitato così tanto la sessualità da renderla sovrana. Tutto concorre quindi a distruggere la sublimazione, sistema moderno e molto più efficace dei precedenti per dividere l’amore, purché la collettività continui ad imperare. Ieri Romeo e Giulietta erano asessuati; oggi si percepisce dietro ogni loro minimo proposito il dialogo senza spirito tra un pene ed una vagina. La nostra epoca coltiva sistematicamente il “segno discendente”[4]: bisogna guardare le cose in faccia, con realismo, tutto si spiega col sesso e con le leggi economiche, e tutto il resto è poesia. Poesia, precisamente, il solo vero pericolo per una collettività di cani.

Nel 1930, i surrealisti avevano ragione di voler “puntare sull’insieme dei “primi doveri” l’arma a lunga gittata del cinismo sessuale”.[5] Questa rivolta contro la repressione secolare era necessaria.
Nel 1964, Breton dovette però fare una precisazione:
“Sotto la pressione sovrana delle idee di Freud, si è sempre più convinti, ai giorni nostri, che la sessualità governi il mondo. Da ciò sembrerebbe derivare che ogni cosa debba essere rapidamente sgravata dei tabù e degli interdetti che, pur differendo da un tempo o da un luogo all’altro, non pesano meno sui primitivi che su di noi. L’eco delle scoperte psicanalitiche è stata tale da rendere inevitabile che la più totale incompetenza, quando non l’indegnità, si occupasse del problema. Ed è così che, nella notte del partito sempre assoluto da prendere in tale ambito, siamo stati edotti da suggestioni, non meno derisorie che arrischiate, in materia di educazione sessuale. Non sembra però che la gioventù di questo paese, in tal senso più libera d’ogni altra, si mostri meno disorientata. L’educazione sessuale sistematica potrebbe avere un valore soltanto se lasciasse intatte le risorse della “sublimazione”, e se trovasse modo di superare il fascino del “frutto proibito”. È soltanto d’iniziazione che si può trattare, con tutto ciò che di sacro questa parola suppone – al di fuori delle religioni, beninteso –, il che implica che la costituzione ideale di ogni coppia umana esiga la ricerca. Questo è il prezzo dell’amore.”[6]

Oggi, nel 1980, il cinismo sessuale è diventato la regola. Il mondo nel quale viviamo, prostituito sotto ogni aspetto, non cessa di minacciare tutti da vicino con il suo erotismo volgare e degradante. Se l’eleganza, la raffinatezza, il gusto delle cerimonie iniziatiche non perdessero il loro prestigio quando si utilizzano a fini polemici, vedrei volentieri in esse le sole armi a lunga gittata che ci restano per garantire la nostra difesa.

In un primo schizzo di “Giove e Semele”, Gustave Moreau ha rappresentato Semele completamente nuda, senza alcun velo, e il trono di Dio fiancheggiato da colonne chiaramente falliche. Nel quadro ultimato, Semele tiene serrato tra le cosce ed avvoltolato intorno alle gambe un lungo pezzo di stoffa. Quanto alle colonne, esse sono così sontuosamente ornate che sembrano piuttosto delle rocce scolpite dalla natura, come se ne trovano nelle grotte. L’aggiunta della macchia di sangue sul corpo di Semele diventa allora – e solo allora – inquietante in sommo grado.

Nel corso di una camminata in montagna, avventuratomi in una grotta, ho raccolto una stalagmite spezzata alla base che somiglia, in modo sorprendente, ad un fallo corto e robusto. Fa da ottimo fermacarte e, come oggetto di meditazione, rimpiazza vantaggiosamente il cranio delle dimore romantiche. Non è questa la prova tangibile delle lente polluzioni della natura? Il frammento di un mitico androgino mineralizzato?

Stalattite s.f. (dal greco stalaktos, che cola goccia a goccia).
Concrezione calcarea, che si forma nella volta di grotte e sotterranei.
Queste concrezioni pietrose sono formate dall’azione delle acque che raggiungono una cavità sotterranea depositando sulla volta, in seguito alla loro evaporazione, le sostanze calcaree che contengono in soluzione. Se la concrezione si forma al suolo, a causa della caduta di queste acque, essa prende il nome di stalagmite. Talvolta, le une si congiungono alle altre e formano dei pilastri che si accrescono e finiscono per colmare le cavità che le contengono.

Per quale motivo, trovo questo testo innocente, tratto dal piccolo dizionario Larousse, più suggestivo, più eccitante di tanti romanzi erotici con o senza ortografia?

Non è raro che io sia percorso da brividi, che il battito del mio cuore si acceleri, che io senta alle tempie la pulsazione del sangue quando ascolto tale o talaltra opera musicale. Non mi oppongo a che mi si spieghi quest’emozione come di origine erotica. Accetto l’ipotesi secondo la quale il mio gusto per la musica – l’arte più astratta – sia una sublimazione delle mie pulsioni sessuali. Ciò mi permette di capire che non abuso del linguaggio, quando dico di provare un vero godimento ascoltando per esempio i quintetti per strumenti a corda di Mozart. Ma questa consapevolezza ha press’a poco lo stesso grado di utilità del sapere che organi dalle reazioni così sorprendenti come il mio cuore o il mio sesso siano dei muscoli molto sensibili. Che giudizio si deve dare sulla sublimazione? Occorre vederla come una triste necessità compensatrice alla quale ci riduce una società che reprime selvaggiamente la nostra sessualità? Oppure un superamento liberatorio della sessualità primitiva, primaria, elementare che può solo apparire insufficiente per natura ad ogni uomo che pensa? Superamento che, nel suo stesso movimento, rende affatto derisoria ogni energia spesa dalla collettività per soffocare o, al contrario, per soddisfare le nostre rivendicazioni sessuali.

Sono nel metrò, in un’ora di grossa affluenza, in piedi, stretto fra due giovani donne, le stesse intraviste sulla spiaggia estiva. Le immagino qui nella loro tenuta da sirene. Una preme i suoi seni nudi contro la mia spalla destra, e sento il suo respiro un po’ più su del collo della camicia. Ho il braccio sinistro immobilizzato lungo il mio corpo da un’altra creatura bionda, uniformemente abbronzata che, incollata a me, mi guarda; le nostre bocche sono vicinissime. Il dorso della mia mano si trova giusto all’altezza del piccolo slip nero che indossa. Sa di sole ed alghe. Qualcosa palpita tra le sue cosce. Ho come l’impressione che il metrò deragli improvvisamente. Il vero erotismo è solo quello immaginario.

“Ai piedi del trono, spiega Gustave Moreau, la Morte e il Dolore formano la base tragica della Vita umana e, non distante da loro, sotto l’egida dell’Aquila di Giove, il grande Pan, simbolo della Terra, curva la sua fronte mesta sotto il rammarico della schiavitù e dell’esilio, mentre ai suoi piedi si ammassa la cupa falange dei mostri dell’Erebo e della Notte, degli esseri dell’Ombra e del Mistero, gli indecifrabili enigmi delle tenebre. È un’ascensione verso le sfere superiori, un’ascesa degli esseri mondati, purificati verso il divino. La morte terrestre e l’apoteosi nell’immortalità. Il grande mistero si compie.”

Faccio l’amore con te, sento che sto per esplodere in te come un ordigno, sono la folgore nel tuo ventre, ti scavo, ti innalzo, mi protraggo, accedo in te, striscio in te, mi faccio largo in te sempre più in alto, sono la lava che risale dalle profondità verso i tuoi crateri spalancati. Ho lo sguardo fisso di Giove e allargo la tua ferita, Semele. Il grande mistero si compie in un insondabile segreto.

Traduzione di Carmine Mangone.


[1] [André Breton, Le Surréalisme et la Peinture, Gallimard, Paris, 1965.]

[2] [Gioco di parole intraducibile tra foudre e foutre.]

[3] [André Breton, Sur la route de San Romano. ]

[4] [In contrapposizione evidente a Signe ascendant, titolo di uno scritto di Breton pubblicato in NEON, n.1, gennaio 1948.]

[5] [André Breton, Seconde Manifeste du Surréalisme, 1930.]

[6] [André Breton, Le Surréalisme et la Peinture, cit.]