Devo ammettere di avervi scoperto di recente, incappando quasi casualmente nel vostro Avviso ai civilizzati (2016), ma fin da subito, attraverso nome del progetto, copertina, testi e musiche, mi avete scatenato una ridda impressionante di concatenamenti: lottarmatismo dei Settanta (mi sovviene l’Angry Brigade…), Ortodossia dei CCCP, Vaneigem, una certa electro germanica o scandinava, Majakovskij, i Crystal Castles, ecc. ecc. Come nasce questo “contenitore” chiamato Brigade Bardot e perché?
Il progetto Brigade Bardot nasce nel 2014 dapprima per gioco, per poi farsi più consistente fino a concretizzarsi l’anno successivo con la pubblicazione dell’ep autoprodotto Prima Risoluzione Strategica. Tutti i membri avevano esperienze precedenti in altri gruppi hardcore e post-punk; infatti, la nostra idea iniziale era quella di creare un ibrido che conciliasse una certa forma-canzone tipica dell’hardcore punk italiano con delle sonorità più vicine all’electro e alla dance. In seguito ci siamo resi conto che non era nostro interesse – o perlomeno non più – riprodurre un’immagine “consueta” di gruppo, ritrovandoci piuttosto nell’idea di contenitore – e in questo è puntualissima la tua osservazione – espressa da Asger Jorn: contenitore, contenuto, apparenza. Nel momento in cui ammettiamo di riprodurre come tutti le stesse dinamiche del capitalismo cominciamo a invitare al superamento di esso. Da questo, viene la volontà di musicare il gusto per l’eccesso di comunicazione del postmoderno nel tentativo di superarlo. Il capitalismo nella sua deriva spettacolare è riuscito a ricreare un linguaggio babelico dove tutti parlano una lingua differente per dire la stessa cosa: non costruiremo comunità fra di noi e rimarremo assoggettati a un’entità astratta, ovvero la merce come dominio. A noi piacerebbe unire più linguaggi spettacolari, dalle avanguardie lottarmatiste fino alla cultura televisiva, per riutilizzarli dirottandone i significanti verso altri significati. Insieme a ciò, troviamo politicamente utile il gioco dell’associazione casuale di idee, e questo si esprime attraverso l’uso di samples decontestualizzati, come discorsi di politici e dialoghi cinematografici. Tale dissezione indovina a nostro parere la linea di fuga che si può creare da più immaginari contrapposti senza apparente logica; per citare l’Internazionale Situazionista: “È impossibile sbarazzarsi di un mondo senza sbarazzarsi del linguaggio che lo nasconde e lo garantisce.”
A proposito di “ricombinazioni”… Isidore Ducasse, nel 1870, scriveva: “Il plagio è necessario, il progresso lo implica” (copiato pari pari un secolo dopo da Debord in La Società dello spettacolo)… Ecco, che significa per voi ricombinare, détournare musiche e parole? Tema spinoso, no?, visto che va a toccare il diritto d’autore e ad influire sulle modalità di accesso e di approccio ai saperi…
Noi intendiamo la pratica del détournement nell’accezione con cui la intendeva Vaneigem, ovvero come rimessa in gioco globale e manifestazione di creatività: la costruzione di un nuovo ordine significante dopo il tentativo di svalutazione di quello precedente. Aggiungiamo poi che il principio fondante della storia padronale è il principio di proprietà privata, che con il tempo si è esteso addirittura a una proprietà intellettuale di ciò che l’uomo crea con il pensiero. Secondo alcune interpretazioni del Sepher Yetzirah, Dio crea l’esistente nel momento in cui lo pensa; il plagio, l’esproprio intellettuale, la mera citazione casuale nega la proprietà. Per ciò riteniamo che ogni tipo di esproprio, nel nostro caso meramente artistico, e ogni infrazione dei codici generalizzati porti a un consequenziale superamento del regime del quotidiano. Al contempo il plagio restituisce vita a opere ridotte a simulacro, inondandole di senso nuovo. Plagiare è facile, divertente, interessante. Ovviamente se qualcuno plagiasse noi saremmo veramente molto contenti.
Secondo voi non si corre però il rischio di restare dentro un ambito delimitato – quello “artistico” in senso lato – finendo così per non incidere più tanto su tutto il resto? È anche vero che nel “dominio reale del capitale”, le ricombinazioni sono addirittura incentivate dal sistema economico, che riesce ormai a riconvertire – a monetizzare – qualsiasi cosa… Certo, nel punk (e nel “movimento” che ha innescato), ci sono stati e ci sono dei tentativi per intralciare le dinamiche di valorizzazione evitando i ruoli spettacolari o cercando di non veicolare semplicemente dei prodotti, delle merci… Si potrebbe fare certamente di più… Un problema sostanziale, a mio avviso, è la mancanza di una stabile alternativa alla distribuzione commerciale (benché qualche tentativo sia stato fatto in passato: Punkaminazione, la Lega dei Furiosi)…
Il problema di fondo è che dopo anni e anni di sperimentazione in ambito DIY non siamo riusciti a contrapporci massivamente a un modello mercantile dominante peraltro crollato anni fa. Purtroppo la risposta ad esso non è stata capace di creare un mondo, ma è rimasta un fenomeno residuale legato alle tendenze. Il capitalismo nella sua estensione spettacolare infatti reca in sé possibilità che ogni altra visione del mondo esclude, come recupero e riproducibilità. Questo fa sì che per il sistema sia possibile fagocitare e risputare depauperate della propria carica sovversiva anche istanze rivoltose, basti pensare a Johnny Rotten che reclamizza il burro sulla BBC o, per estremizzare, Bill Ayers dei Weather Underground (che un tempo mettevano bombe nelle caserme a Los Angeles) ora al gabinetto di Obama alla Casa Bianca. Perciò l’unica soluzione possibile per ribaltare il tavolo è l’insurrezione generale della vita quotidiana. Rubare al supermercato come al mercato musicale. Copiare canzoni altrui e détournarle. Suonare negli squat e per strada. Se nel ’76 sulla zine Side Burns veniva scritto: “Questo è un accordo, questo è un altro: ora puoi formare una band”, noi invece vorremmo dire: “Questa è la tua vita, questo è il mondo che abiti. Ora puoi prenderti tutto quello che vuoi”. E fanculo il mercato!
Noto un grande influsso dei situazionisti sul vostro pensiero… Cos’altro vi portate dietro? Voglio dire: chi o cosa vi ha de-formato? Da cosa vi fate stregare? Libri, dischi, film, idee…
L’Internazionale Situazionista ci ha indicato una pluralità di metodi che troviamo assolutamente stimolanti, ma ci siamo fatti influenzare da tanto altro: la vecchia scena industrial, la commedia all’italiana, le Brigate Rosse, il punk, la tv spazzatura, le macchine in fiamme, il terrorismo islamico. Da un punto di vista di idea e immaginario, sicuramente l’influenza principale l’hanno esercitata gruppi come i Disciplinatha e i Laibach. Da un punto di vista invece performativo, quindi per quanto concerne in modo particolare le nostre esibizioni dal vivo, la pratica black bloc, il movimento autonomo degli anni ’70 e un’estetica filo-marziale tipica dell’industrial. Altri progetti molto importanti per noi sono stati Throbbing Gristle, Psychic TV, CCCP-Fedeli Alla Linea, Great Complotto, The KLF e Atari Teenage Riot, insieme a quasi tutti i gruppi prodotti da Crass Records.
A proposito dei CCCP… Che cosa vi viene in mente se tiro in ballo quel “giro” che dal gruppo di Ferretti e Zamboni ha portato a gente come Offlaga Disco Pax e Stato Sociale?…
I CCCP sono per noi una fonte di ispirazione di inestimabile grandezza, anche se più da un punto di vista concettuale che strettamente musicale. Per quanto però sia indubbio che abbiano esercitato una forte influenza anche su tutta la scena indie italiana degli ultimi anni, riteniamo di non avere nulla o poco più a che spartire con quei gruppi e quelle posizioni. Tanto per dire, gli Offlaga potevano essere simpatici ai tempi di “Robespierre”, per poi condannarsi a diventare gli epigoni tristi di loro stessi. Un fatto non gli possiamo certo perdonare: nella traccia “Sensibile”, dall’album Bachelite, tacciarono di fascismo i Disciplinatha, non cogliendo, evidentemente, la provocazione détournista del gruppo (e bisogna essere parecchio fessi!); quando qualcuno si basa su illazioni giornalistiche o carte di magistratura e ciononostante continuare a nuotare nell’ormai tiepido mare della controcultura, be’, non possiamo che augurargli di partecipare per l’eternità a Feste dell’Unità con Renzi vestito da clown. Lo Stato Sociale, invece, ci fa proprio schifo al cazzo! Giovanilismo, pessimo umorismo, impegno politico farlocco e decisamente tanto, tanto, cattivo gusto.
Una curiosità personale: come nascono in genere le vostre canzoni?
In completa onestà, avviene tutto piuttosto casualmente; componiamo in maniera assolutamente spezzata: uno di noi parte da un riff di tastiera, dal cut-up di altre canzoni, da un campionamento, e un altro scrive il testo, a volte senza nemmeno aver sentito la versione definitiva della traccia. Urge precisare che noi tre siamo nati e cresciuti a Milano, ma uno di noi vive a Bologna, ed è lì che abbiamo la nostra base operativa. Il limite è che così il nostro lavoro, avvenendo in maniera “telematica”, va a rilento e subisce l’instabilità del nostro quotidiano. Il bello è che quando invece funziona, è come se ci fosse un’alchimia di elementi distantissimi fra loro che, miscelati, portano avanti un discorso comune.
Augurandovi allora un lungo e proficuo “discorso comune”, nonostante tutti gli eventuali problemi logistici, e sperando di incontrarvi presto in giro, un’ultima domanda: quale sarà la prossima risposta della Brigata Bardata ai “Signori professionisti del Non ce la farete mai”? [Rido].
La nostra aspirazione principale rimane sempre la stessa, vincere il Festival di Sanremo. Possiamo anticipare che stiamo lavorando ad alcune nuove idee per il futuro. Quest’anno continueremo a suonare in Italia e fuori il più possibile e a portare avanti il nostro discorso meta-musicale. E ai “Signori Professionisti…”, che si tengano stretti alle poltrone dei loro salotti, poiché non sanno né il giorno né l’ora.
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