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Il seguente testo è apparso sul n. 29 del dicembre 2017 di Seme Anarchico, testata storica del movimento anarchico italiano, fondata nel lontano 1951.
Per informazioni sulla pubblicazione, scrivere a: Antonietta Catale – Guido Durante, Casella Postale n. 49, 15121 Alessandria (oppure: semeanarchico@libero.it), tel. 3335088303. Prezzo di una singola copia: 2 euro. Abbonamento annuo: 14 euro. Per sottoscrizioni o abbonamenti: ricariche sulla Postepay n. 5333 1710 2771 9158 intestata a Antonietta Catale.
Ringrazio di cuore i compagni del giornale per avermi chiesto uno scritto di presentazione della mia opera dedicata a Stirner.

 

Vi sono libri la cui lettura si fa esperienza, rilancio della migliore umanità possibile, e ve ne sono altri – i più – che restano invece un modo banale per passare il tempo senz’ammazzarlo, senza sormontarlo in una nuova compiutezza del vivere.
In altre parole: da una parte, abbiamo libri che trasmettono dei saperi contro la servitù, i servilismi, l’asservimento dei viventi; dall’altra, all’opposto, vi sono libri che si ‘limitano’ a servire il sapere dominante, ad asservire i saperi, nonché a mantenere ruoli e gerarchie nella gestione sociale delle conoscenze.
Il Der Einzige di Max Stirner appartiene senz’altro alla categoria delle opere che aprono mondi, che spalancano menti, e che i chierici non sono ancora riusciti a disinnescare (non del tutto, almeno).
Eppure, la lettura dell’opera maggiore di Stirner non è affatto facile, né tanto meno sollazzevole. Richiede applicazione, protervia e, soprattutto, una buona dose di cattiveria nei confronti dei luoghi comuni del pensiero. Dimenticate quindi tutte le stronzate dei filosofi, dei politici, dei preti, dei moralisti! Stirner spazza via ogni ‘idea fissa’, cioè ogni idea che subordini socialmente l’individualità, il singolo, e lo fa senza mezzi termini, imbastendo una critica che sarà valida finché esisteranno dei saperi servili, subordinati, e finché avremo a che fare con un apparato di potere che li genera e li impiega.
Io lessi per la prima volta L’unico e la sua proprietà più di trent’anni fa. All’epoca, ero un giovane teppistello di provincia, affascinato dall’anarchia, dalla rivolta, e che amava i libri dirompenti, ‘unici’ (proprio nello stesso periodo, non a caso, andavo scoprendo Maldoror e i surrealisti francesi…).
Stirner mi fece l’effetto di un cataclisma. Era il mio libro. In quelle pagine, ritrovavo la mia ricerca di autonomia, di unicità. Era tutta lì. Questo bastardo d’un tedesco aveva detto tutte le cose che mi turbinavano in testa e le aveva dette in un modo che non si riusciva a contraddire ‘materialmente’. In altre parole, ritenevo – e ritengo tuttora – che si possa e si debba criticare il suo pressapochismo storiografico, la sua noiosa pedanteria, il nominalismo che trabocca da alcuni suoi passi, le sue conoscenze dozzinali in tema di economia, ma di una cosa resto assolutamente certo: anche grazie a lui, nessuno potrà mai confutare il fatto che ogni vivente ha una sua unicità fisica e riflessiva e che, proprio per questo, ogni vivente dovrebbe darsi la potenza per difendere e sviluppare le proprie specificità, la propria integrità.
Ecco. Stirner, a modo suo, ci dice che dobbiamo aprire gli occhi, essere ‘egoisti’ e liberarci di tutta la zavorra sociale e culturale che ci va frenando nel nostro voler godere compiutamente della vita ‘unica’ che abbiamo.
Ora, a distanza di trent’anni, e dopo periodiche riletture, ho ripreso nuovamente Stirner e mi sono concesso la possibilità di affrontare, di pari passo, questioni che ritengo quanto mai essenziali: insurrezione, rivoluzione, individualità, comunità, godimento, diritto, tempo, denaro, ecc. ecc.
Ne è venuto fuori un libro che esce nel novembre 2017 per le edizioni marchigiane Gwynplaine: L’insurrezione che è qui. Max Stirner e l’unione dei godimenti. Il volume avrà un minimo di distribuzione commerciale, ma non è soggetto ad alcun copyright. Gli amici della Gwynplaine, pur provenendo da un milieu comunista, si son dimostrati entusiasti all’idea di un libro su Stirner e mi hanno permesso di ‘confezionarlo’ a modo mio, dandomi completa fiducia. Attraverso le 230 pagine che lo compongono e le 150 note che lo costellano, ci troverete spiegato per sommi capi il pensiero di Stirner, ma anche ampie digressioni atte a contestualizzarlo, a scandagliarne le possibilità, le potenzialità (la postfazione di Filippo Pretolani sfocia addirittura nella fisica quantistica!…). Beninteso, non è un testo ‘stirneriano’. Per me lo stirnerismo è un controsenso. Solo Stirner poteva essere autenticamente stirneriano. Il mio libro, semmai, è il tentativo ‘mangoniano’ di creare un nuovo sentiero, un percorso lungo il quale ritrovare un’armonia, una consonanza tra individualità e comunità (v’introduco, non a caso, il concetto di com-unicità).
Perché questo tentativo? Provo ad abbozzare qui di seguito una risposta sommaria.
La società contemporanea vive ormai un paradosso costitutivo: da una parte, ha indotto ed esaltato su scala globale un individualismo esacerbato, funzionale; dall’altra, nel contempo, l’individuo rimane annichilito dietro le sue rappresentazioni sociali, pubblicitarie. L’individualismo – ogni individualismo – si rivela quindi un’esaltazione spettacolare e una riduzione reale dell’individuo. Stato e capitale vogliono d’altronde un singolo debole, isolato, facilmente controllabile, il quale può al limite fare numero, massa, senza però mai imporre uno scarto qualitativo e criticamente consapevole alla propria (eventuale) volontà di comunanza. Usando Stirner, il paradosso di un individualismo eretto contro gli individui può essere rovesciato: l’unico, infatti, rompe coi meccanismi alienanti e gerarchici della società, attua una secessione rispetto al sistema di valori dominante – anche rispetto ai valori individualisti del ‘liberalismo’ – e fa sì che l’individuale torni ad essere personale.
Se vi pare poco, non posso far altro che lasciarvi al beato usufrutto della vostra pochezza.

Laureana Cilento, 7 novembre 2017

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