Nel corso del XX secolo, l’erotismo emerge prepotentemente dalla sua dimensione separata finendo per interagire o interferire con ogni àmbito dell’umano. Si assiste così all’erotizzazione di tutto e tutti in un irrefrenabile movimento di massa, il quale non fa altro che darsi continuamente dei nuovi limiti fisici o culturali per poi superarli senza posa. Anzi, all’interno di questo movimento, nato con la modernità, i limiti stessi vengono erotizzati e fanno da potente catalizzatore per il desiderio sessuale. L’erotismo si fa ricerca frammentaria di una totalità – necessità dei corpi e corpus della necessità – permeando in maniera capillare la società contemporanea e risolvendosi spesso in una coazione a rinnovare l’oggetto particolare del proprio desiderio, dove il fine ultimo delle pratiche erotiche diventa la produzione di esperienze che possano sospendere un tale movimento del desiderio esaudendolo in via temporanea.
Il discorso erotico si generalizza, si “democratizza”, viene detto apertamente e senza preclusioni di sorta; non è più appannaggio di individui privilegiati, isolati dalla società o che si “appartano” in àmbiti marginali. Per dirla con André Breton: «Les mots (…) ont fini de jouer. Les mots font l’amour. [Le parole (…) hanno finito di giocare. Le parole fanno l’amore]» (“Les Mots sans rides”, in: Littérature, n. 7, 1922). Il desiderio di dire il sesso di ogni cosa si diffonde su scala sociale e diventa uno dei cardini delle relazioni col mondo. Si mette a nudo costantemente la conoscenza del mondo – non solo in senso figurato – e la si spinge sempre al limite di un denudamento definitivo di ogni senso.
Georges Bataille è colui che ha cercato di teorizzare il conseguimento di una totalità sovrana a partire dall’erotismo. Buona parte della sua opera è incentrata sull’esposizione dei limiti umani e sulla ricerca di un metodo “laico” per realizzare un’esperienza della vita e della morte spinta al limite del possibile. Con Bataille, siamo su una soglia che ibrida mostruosamente materialismo e metafisica: accogliere l’impudicizia e l’eccesso dei corpi, per l’intellettuale francese, ci condurrebbe infatti ad un’esperienza sovrana della totalità. Nel suo pensiero, l’erotismo dialoga con la morte, è sempre in stretta connessione con la mortalità dell’uomo. Anzi, per Bataille, l’eros si sviluppa proprio con la coscienza della morte, i cui fondamenti produrrebbero la sensibilità umana in generale e quella verso gli altri in particolare.
I nostri progenitori adottarono pratiche di sepoltura rituale a partire dal Paleolitico, producendo parallelamente le prime rappresentazioni proto-artistiche, in molte delle quali era già evidente un’attenzione nei confronti del corpo e di ciò che oggi definiremmo “sessualità”. Ma per quale motivo l’uomo preistorico tendeva a ritrarre essenzialmente scene di caccia (di morte) o situazioni in cui il corpo umano eccedeva, debordava? Un denominatore comune potrebbe essere la volontà di propiziare (o quanto meno di sottolineare) la sopravvivenza del gruppo umano di riferimento, visto che le rappresentazioni in oggetto rimandano quasi tutte a modalità di sostentamento e riproduzione degli individui del gruppo. In altri termini, si raffigurava ciò che si voleva per sé e per gli altri membri della propria comunità; lo si evocava o controllava “magicamente”; si concedeva alla raffigurazione la potenza di dare continuità agli eventi fondamentali della vita. Le figure preistoriche non sono quindi mere icone o descrizioni, ma anche passaggi, rilanci delle situazioni decisive o delle emozioni capitali del genere Homo.
Intorno ai primi tentativi di capire e “governare” i corpi, vengono ad originarsi il sacro e l’arte. Dentro queste categorie, l’erotismo è la riserva di pensiero ed emozioni – sganciata in gran parte dall’attività meramente procreativa – che l’uomo costituisce accumulando elementi riflessivi riguardanti la propria sessualità; processo che lo differenzia in modo marcato dagli altri animali, la cui sessualità è agganciata quasi del tutto alla riproduzione della propria specie (in verità, gli etologi hanno appurato comportamenti “omosessuali”, autoerotici o addirittura rapporti sessuali interspecifici, non sempre episodici, in molti mammiferi superiori).
L’uomo del Paleolitico che si raffigura col sesso eretto è già virtualmente un “despota” (per dirla con Sade)? Preannuncia cioè le strutture di potere e le dinamiche sociali che nacquero col distacco dell’uomo dall’alveo naturale originario che era comune a tutti gli ominidi? In altri termini: ciò che definiamo amore, erotismo, desiderio, quanto resta legato all’alienazione sociale che data dal Neolitico?
Nell’àmbito dei rapporti erotici, colui che afferma l’idea fissa di una tumescenza capitale, come ad esempio la centralità dell’erezione, è sempre un “despota” potenziale. L’erotismo è un saper discernere lo spirito e il corpo del desiderio sganciandosi dalla sessualità riproduttiva tipicamente animale e riconoscendo una varietà, una creatività nel gioco dei corpi. Chi non discerne tra l’emozione violenta dell’eccitazione sessuale e la facoltà di un accordo gioioso tra tutti i sessi possibili, irrigidisce il pensiero dell’amore intorno alla propria tumescenza sessuale e impone una tale rigidità al pensiero e al corpo degli altri. Non è il sesso turgido in sé ad essere portatore di autoritarismo, ma la mente e le relazioni sociali di chi lo usa per subordinare gli altri al proprio desiderio, al proprio godimento. Essendo anzitutto propensione verso l’altro, e non necessariamente “possesso”, l’atto sessuale apre ad una comunanza, manifesta una densità, un eccesso di vita, e porta con sé una volontà di compiutezza che si fa ponte tra esseri differenziati. Il possesso nasce con una subordinazione tra viventi, tra intensità, allorché una potenza di vita non si ritenga appagata nel congiungersi con un’altra potenza – non si senta compiuta nel farsene attraversare – e la costringa quindi ad un’intesa codificata, sbilanciata, in cui affetto e desiderio si alterano stabilmente in giochi di potere e in valore di scambio. Il cazzo eretto diventa uno strumento autoritario – una sorta di scettro più o meno patetico – tutte le volte che l’erotismo si voglia come conquista dei corpi e dell’immaginario amoroso degli altri, cioè non appena un qualsiasi atto sessuale si trasformi in atto di potere. La vera “perversione” si ha proprio nel mutare l’amore tra potenze affini in un potere tra affetti asimmetrici. La centralità del cazzo nasce da un potere e non fa che situare un potere al centro delle preoccupazioni sessuali.
Uno dei limiti dell’erotismo è credere che il desiderio – l’eccitazione – non possa avere altro sbocco che il godimento: erezione come legittimazione del piacere, orgasmo come τέλος. In una simile prospettiva, anche il pensiero diventa una dinamica erettile.
Curiosa ed emblematica un’annotazione di Bataille: «Nei primi giorni di meditazione, entravo abitualmente in uno stato di torpore, quando all’improvviso mi capitò di sentirmi diventare come un sesso in erezione. L’intensità della mia convinzione la rendeva difficile da ricusare. Il giorno prima, avevo provato, allo stesso modo, il sentimento violento di essere un albero e, senza che io mi ci potessi opporre, nell’oscurità, le mie braccia si erano andate estendendo come rami. L’idea di essere – il mio corpo, la mia testa – un grosso pene eretto, era così folle che ebbi voglia di ridere. Mi venne anche l’idea comica che un’erezione così dura – il mio intero corpo teso come un cazzo ritto – non potesse avere altro sbocco che godere! Mi era comunque impossibile ridere talmente ero teso.»(La Tombe de Louis XXX, in: Œuvres Complètes, IV, p. 165).
In Bataille non esiste una liberazione nell’erotismo, né tanto meno una liberazione dall’erotismo: ogni dettaglio erotico è agganciato ad una dialettica divieto/trasgressione di chiara ascendenza sacrale, dove il culmine del momento trasgressivo si lega immancabilmente ad una volontà erettile di potenza. D’altronde, Bataille stesso tiene a ricordarci che in ogni erotismo c’è una parte sadica e che «l’interdit commande la valeur (…) de ce qu’il refuse: grossièrement, cette valeur est celle du “fruit défendu” du premier chapitre de la Genesi [l’interdetto stabilisce il valore (…) di ciò che nega: questo valore, a grandi linee, è quello del “frutto proibito” del primo capitolo della Genesi]» (Les Larmes d’Éros, 1961).
Adamo ed Eva mangiano dall’albero della conoscenza del bene e del male violando l’interdetto posto da Dio: «Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Genesi, 3, 7). Si appropriano quindi di un valore che li avvicina alla divinità e, allo stesso tempo, acquisiscono la capacità di dare valore all’esistente; imparano a discernere, a vedersi, a pensarsi. Il bene e il male diventano realtà, informano il mondo, danno un senso e una “nudità” alla vita e alla morte. Gli uomini sacrificano allora l’immortalità, la stasi, l’incoscienza della beatitudine per lanciarsi nel movimento della materia vivente. Il distacco da una totalità mitica ed ineffabile viene però vissuto come una perdita, una rinuncia da espiare o sanare (rinuncia che viene legittimata dai padroni e scontata dai servi). Ecco così nascere e affermarsi la dimensione del sacro, destinata giustappunto al ripristino teorico e rituale di una presunta unità originaria tra l’uomo e il cosmo.
All’interno delle proprie rilegature, il sacro ha cercato di integrare o disinnescare l’amore e il discorso erotico giungendo in epoca cristiana ad una guerra aperta tra religione ed erotismo (guerra che però ha condotto, come abbiamo visto, ad una sessualizzazione di tutto e tutti proprio attraverso la colpevolizzazione senza requie delle pratiche sessuali). L’erotismo, d’altronde, è sempre stato visto come un nemico o un pericoloso concorrente da quasi tutti gli apparati religiosi, perché tende, come essi, ma su un piano affatto immediato e sensibile, ad unire compiutamente i dettagli dell’esistenza umana in una cornice piena di senso.
Non potendo possedere la totalità mitica ormai perduta, l’uomo ha cercato di costruire dei ponti tra le proprie manchevolezze e l’assoluto inconoscibile della morte. Vive quindi tradendo la vita e creando riserve di valore e di potere asservendo la vita dell’altro. Costruisce una parvenza di totalità istituendo totalitarismi al livello del pensiero e delle proprie comunità di riferimento. Incapace di accettare i limiti della condizione terrena, cerca di possedere la vita e la morte degli altri viventi proiettando se stesso in un cielo di perfezioni mortifere. Prova a dimenticare la propria morte facendosi piacere la morte degli “estranei”. Non ha altra ragione se non quella che egli stesso fonda sulla mancanza di ragione di coloro che può e vuole asservire. Il sacrificio diventa allora il concetto cardine di ogni pensiero religioso o politico. Sacrificare sé e gli altri per un’unità mistica o per una ricomposizione sociale superiore, diventa il leitmotiv della civiltà umana. Rendere sacro (“sacrificare” deriva appunto dalla combinazione di sàcer e fàcere), ossia ripristinare una continuità con il “Creato”, con l’universo, è da sempre una delle dinamiche principi (nel movimento della “sovranità”, come direbbe Bataille) per superare – o addirittura per trasmutare – l’alienazione che affligge il genere Homo. Naturale o sociale che sia, l’alienazione è sempre un sentirsi diminuiti, spossessati, subordinati ad una logica sovraindividuale. L’altro ci invade, ci possiede, e noi tentiamo un aggiustamento o una giustificazione per risolvere le nostre mancanze. In tale prospettiva, la Storia può essere vista come un’incessante ricerca di soluzioni per ovviare allo smarrimento e alla perdita di sé.
Nel pensiero di un Sade o di un Bataille, non vi è luce per i viventi, né gaiezza per coloro che amano. All’interno della loro opera, la gioia è la grande assente. Non riescono infatti a perdonare l’altro per il suo essere altro e cercano allora di forzare, di risolvere violentemente le contraddizioni che nascono dall’incontro col prossimo. È stata Simone Weil a formulare con nettezza la questione essenziale: «Come perdonare all’altro il restare altro?» (Cahiers, febbraio-giugno 1942). La materia “animata” che costituisce gli altri, venendo a contatto con noi, ci costringe a venir fuori dal nostro perimetro di pelle, ad aprirci, a mettere in gioco la nostra unicità psichica, carnale. La vita dell’uomo si rivela vita di relazione, in cui l’amore, come soluzione di continuità delle separazioni sociali, resta il metodo principe per conciliare le differenze di desiderio tentando l’umano possibile. L’Homo sapiens cerca di eludere la morte, ingenuamente, ingegnosamente, e l’erotismo, in un mirabile gioco a perdere con l’assoluto, è la soglia tra il pensiero dei corpi e il corpo che pensa: soglia su cui non può attestarsi alcuna verità, tranne quella che gli amanti costruiscono e condividono nella vertigine della propria passione, nonché (soprattutto) nel rilancio appassionato delle loro condivisioni e contraddizioni.
Pur avendo coscienza della propria mortalità, l’uomo non accetta l’idea della morte e cerca di sormontarla con un movimento ambivalente: da un lato, strutturando un pensiero simbolico che possa ricomporre le fratture tra l’umano e il bacino originario della vita (la cosiddetta “natura”); dall’altro, accogliendo le passioni, anche quelle più estreme, e annientando ogni pensiero, ogni necessità di simboli e ricomposizioni culturali, in modo da lasciar via libera alle più estreme esuberanze vitali e obliare così la morte. In questo movimento contraddittorio, l’erotismo è il pensiero simbolico che si sgancia dalla sessualità animale pur continuando a giocare con ogni aspetto possibile della sessualità. Tuttavia, l’amore carnale rimane un àmbito troppo grande e immanente per il simbolo che volesse restituirlo al senso più o meno comune di un gruppo umano. I simboli dell’eros non sono mai compiuti. Nessun punto finale può essere posto all’amore carnale. La sua immanenza è un moto ondoso di pretese e rilanci. Avremo sempre e soltanto un rosario di note ai piedi di un corpus riscritto incessantemente: parole, immagini che fluiscono nel pensiero dell’amore come se fossero acqua fra le dita. Il simbolo bracca l’amore e cerca di dirlo, evocarlo, designarlo senza posa, ma l’amore è avaro di medaglie al valore e fa spallucce ad ogni tentativo di padroneggiamento. Si cerca di ricondurre l’amore carnale nell’alveo dell’erotismo, vale a dire nell’àmbito di un pensiero specifico, separato, eppure si sa che l’eros sfuggirà ad ogni idea di separazione, di riduzione definitiva.
Bataille è stato sostanzialmente il primo a dedicare all’erotismo un lavoro teorico specifico e ad usarlo come strumento di analisi della Storia. Tutta la sua opera è interpretabile come nostalgia del sacro fin dentro la carnalità e, allo stesso tempo, come ricerca di un metodo che possa ripristinare, attraverso la violenza degli eccessi (voluttà erotica, misticismo, poesia, riso) l’unità mitica con l’esistente. Per il grande pensatore francese: eros, sacro e arte nascono agli albori della civiltà e sono strettamente interrelati. La loro comunione viene a cessare allorché si afferma una rigida separazione funzionale, all’interno dei gruppi umani, tra i diversi àmbiti e ruoli sociali; in particolar modo, con la nascita dell’economia e con lo sviluppo di istituzioni politiche e religiose pesantemente gerarchizzate. Il governo sociale del sacro e del lavoro regolamenta l’eros e lo separa sempre più dal contesto decisionale e dalla gestione dei valori comuni. Bataille ritiene allora che solo una pratica dell’eccesso e una tensione verso l’impossibile possano attenuare l’angoscia esistenziale nata dalla rottura tra eros e sacro, cioè tra i due poli dell’immane tentativo umano di eludere simbolicamente la morte. Eppure, in Bataille, il simbolo – il tentativo di ricomposizione – non fa che inciampare nella dismisura della narrazione, nella frenesia della retorica, nella mancanza di precauzioni del suo lavoro filosofico (cfr. il romanzo breve Histoire de l’œil, la cui prima edizione risale al 1928, o i testi della rivista Acéphale, 1936-‘39). L’eccesso e il dispendio muovono l’economia del desiderio e accelerano la riproduzione dei valori affettivi; lo fanno soprattutto mediante un’incessante movimento di distruzione e, allo stesso tempo, di recupero degli oggetti d’amore, il cui legame è segnato per sempre dalla voluttà di disporre compiutamente di ogni prodotto del mondo.
Testo tratto da: IL CORPO ESPLICITO. Breve storia critica dell’erotismo occidentale, edizioni Paginauno, 2017. Le foto sono di Laura Makabresku.
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