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[ Il mio testo pubblicato sul n. 13 di XX mila LEGHE SOTTO, la rivista/catalogo di Nautilus autoproduzioni. Le opere sono di Kamil Vojnar. ]

(Chi sono io, madre, se non il tentativo di volerti bene nonostante tutte le tue mancanze? Cosa potrei volere, oggi, se non la tenerezza che mi hai negato e che ho imparato a non pretendere andandomela a cercare fra le gambe delle altre donne? D’altronde, chi potevi mai essere, mentre tuo marito ti picchiava? A quale vicolo cieco ti eri votata, quando il tuo piccolo uomo veniva picchiato a sua volta? Dove ti nascondevi, mentre il tuo piccolo uomo diventava grande e cominciava a smarrirsi per conto suo senza chiederti alcun permesso? In quale pensiero eri già morta, mentre tuo figlio metteva in discussione gli stupidi aggettivi possessivi di suo padre?
Avrei voluto amarti per come non sei mai stata. Avrei tanto desiderato abbracciarti per stendere un nuovo orizzonte tra noi e un mondo senza più violenza. Ma no! Sentivi quasi il fastidio dell’abbraccio che sarebbe stato e non mi hai mai concesso niente, salvo il fatto di mettermi al mondo e crescermi sano.
Tutto qui? Possibile che la vita sia soltanto e banalmente un territorio bonificato e privo di pericoli? Non c’è forse qualcosa di essenziale che manca in tutto questo? Perché hai fallito così miseramente? Perché hai lasciato che io lottassi da solo contro la mia patetica virilità? Per quale motivo non ti sei regalata la rivolta che avrebbe inaugurato una nuova amicizia fra i tuoi figli e il mondo?).

Il maschio dominante del futuro arriverà a sognare di una nascita senza femmine. Vorrà venire alla luce senza più passare per la mediazione di un corpo di donna. Sognerà quindi un mondo senza madri, senza gestazione intra-uterina, in cui avrà assolto lui stesso ogni dinamica della maternità grazie alla scienza e alle tecnologie più avanzate.
Già nella Medea di Euripide, sulle labbra di Giasone, in una fase storica in cui il patriarcato era ormai trionfante, troviamo un chiaro rimpianto di genere contro l’esistenza stessa della donna-madre: «Oh!, gli uomini / altronde generar figli dovrebbero, / donde che fosse, e non esister femmine. / Nessun malanno allora avrebber gli uomini» [1].
È interessante sottolineare, a proposito della figura di Medea, l’assenza di ogni infanticidio nelle versioni anteriori del mito. La “criminalizzazione” di Medea ha origine quindi a partire da Euripide, vale a dire con l’avvento dell’età classica.

Le dinamiche maschiliste tendono ad abbattere la specifica alienazione maschile che si viene a produrre nel rapporto tra uomini e donne. Per ridurre quest’alienazione generica, la donna è diminuita il più possibile in schemi sociali che affermano il predominio del maschio su ogni piano dell’esistenza comunitaria. L’ideale del maschilismo è la completa esautorazione sociale ed esistenziale di quegli elementi femminili che non siano funzionali all’affermazione del corpo e dell’intelligenza maschili. Onde per cui, si comprende benissimo quanto il governo della maternità resti il nodo decisivo per la riduzione generale della donna: o si lascia quindi quest’ultima dentro le strette maglie di una maternità idealizzata e penalizzante, o la si destituisce progressivamente e completamente dalle sue prerogative naturali. Proprio per questo, non è del tutto fantascientifico immaginare un futuro in cui la maternità venga surrogata in uno scenario completamente privo di corpi femminili organici, oppure presupporre una sessualità cibernetica in cui la femmina dell’uomo sia sostituita da robot e sex toys dalle perfette fattezze muliebri.
Qui si pone beninteso un’estremizzazione delle dinamiche maschiliste e si fa emergere il piano più profondo e occulto della misoginia patriarcale, la quale tenderà probabilmente a radicalizzarsi nei prossimi 50-100 anni proprio perché si sente ormai drammaticamente compromessa, nei suoi assetti millenari e “domestici”, dagli sconvolgimenti libertari del Novecento.
Su un versante affatto opposto, si può invece pensare allo sviluppo di un transumanesimo tendenzialmente ermafrodita, che riassorba in sé ogni sesso e genere sessuale, in modo da oltrepassare d’un balzo, almeno a livello teorico, tutte le problematiche relative all’identità di genere storicamente determinata. Ovviamente, in tema di transumanesimo, occorrerà prima liberare le tecnologie umane dalla morsa della valorizzazione capitalista, in modo da agganciarle a una nuova etica e a una nuova visione generale della sessualità e dell’affettuosità tra i viventi. In caso contrario, le opzioni transumaniste resterebbero preda (e pungolo democraticista) delle future incarnazioni del capitale.

Se Zeus tagliò in due l’androgino originario, condannando le parti derivanti dalla divisione a rincorrersi per sempre, perché non ipotizzare una soluzione transumanista al sessismo attraverso la costruzione di un ermafrodita umano? Perché non immaginare una figura omnisessuata che metta in discussione i poteri e i limiti dei due generi sessuali consolidati naturalmente e culturalmente? Chi ci vieta di congetturare un vivente che metta insieme, al suo interno, dentro il suo corpo, l’insieme possibile di tutte le sessualità umane, scegliendo di volta in volta quella che più si confà al suo desiderio del momento, alle sue necessità relazionali, alla sua ricerca di bellezza, al suo bisogno di affetto? La tecnica del futuro potrebbe giungere senz’altro alla costruzione di un vivente omnisessuato e la cui riproduzione avvenga con una gestazione completamente extra-uterina. Sorge però spontanea una domanda essenziale: il raggiungimento di un traguardo del genere, a dir poco incredibile, e che potrebbe quasi apparire spaventoso, riuscirebbe a mettere in discussione gli assetti autoritari della civiltà umana?
Un oltrepassamento tecnologico dei sessi naturali e delle identità di genere culturali avrebbe senso solo se ci permettesse di bypassare definitivamente le problematiche sessiste. Altrimenti: che senso potrebbe mai avere una società compiutamente intersessuale che restasse impostata pur sempre su basi gerarchiche? A quale spaventoso appiattimento dei viventi ci condannerebbe una simile società, se non fosse capace di abolire le varie dinamiche di potere stratificatisi negli ultimi millenni di storia?
Tutte le questioni che precedono, e che riguardano una futuribile ricombinazione tecnologica della cosiddetta umanità, si portano dietro una domanda ineludibile e sempre attuale, che concerne il nucleo fondamentale dei nostri assetti sociali: quanta parte hanno il sessismo, il patriarcato, i rapporti di forza tra i sessi e il governo culturale degli affetti nella genesi e nel mantenimento delle strutture di potere? O, per dirla in altro modo: quanto c’è di sessista nel potere e nella violenza sociale tipicamente umani?

Facendo nostro l’interrogativo che si poneva Büchner [2] – «Cos’è ciò che in noi mente, puttaneggia, ruba e assassina?» – dobbiamo sempre tener presente l’Altro che alberga in quel noi, come pure il noi che crediamo nell’Altro.
L’Io e l’Essere si rivelano arcipelaghi, assembramenti di congetture, condensazioni storiche del pensiero.
Tutti noi, presi singolarmente, siamo unicità psico-fisiche che riverberano in sé il carattere multidirezionale del divenire. Più propriamente, la nostra unicità emerge dal divenire stesso e si confronta incessantemente con esso. Ne stacchiamo storicamente dei segmenti con le nostre mani, la nostra mente, in modo più o meno logico, più o meno arbitrario, e li mettiamo in comune nel generale confluire delle attività umane. Ogni Io è un pezzo del noi, del comune. Al tempo stesso, ogni Io, prendendo coscienza delle proprie singolarità nel divenire comune, lotta contro gli elementi sociali che riducono la sua unicità, oscillando quindi, senza posa, tra adeguamento e negazione, consenso e conflitto.
Alla luce di questi movimenti, la domanda di Büchner va riformulata in maniera tale da accogliere le contraddizioni storiche della civiltà, chiedendosi: cos’è che mente, uccide, ruba e “puttaneggia” nel genere sessuale, nella tribù, nella classe? E ancora: quale sesso, quale tribù, quale classe, dentro di noi, giunge a mentire, ad assassinare, a rubare, a “puttaneggiare”? E perché? Per chi? Per che cosa?

Per quanto concerne la sfera della sessualità, uno degli scenari prospettati dai teorici transumanisti, scommettendo sulle future acquisizioni tecnico-scientifiche, auspica che si giunga a sopprimere la necessità del corpo dell’Altro e ad esperire il piacere sessuale quasi esclusivamente con modalità autoerotiche. Grazie all’ausilio di impianti artificiali nano-neurali, uso affinato e controllato delle sostanze psicotrope o psicofarmacologiche, ecc., alcuni transumanisti ritengono che si possa addirittura esautorare il corpo e la carne costruendo piaceri molto più intensi e duraturi con una giusta stimolazione “virtuale” o neurochimica del cervello [3].
Le cose non sono però così semplici. Anzi, siccome il nostro godimento reale del mondo, in una proporzione non certo esigua, è anche relazione di godimenti e godimento della relazione con l’Altro, viene da chiedersi cosa ne resterebbe, di un tale godimento, in un’ipotesi che faccia a meno della materialità dell’Altro riducendo tendenzialmente a zero il lato “toccante” della gioia. Potendo scegliere, abbandoneremmo forse la nostra ricerca della felicità per abbracciare un piacere garantito, prevedibile, scientificamente protetto?
La felicità – da non confondere col piacere corporeo – è uno stato di pace e di armonia col mondo, di consonanza con l’Altro, e noi ne traiamo una reale contentezza a partire soprattutto dalle nostre relazioni col mondo fisico. Considerate quindi le nostre abitudini culturali millenarie, potremmo mai accogliere una felicità sintetica che abolisse l’alea, l’impegno e la fisicità delle relazioni? Scalzando, se possibile, ogni gravità del corporeo, potremmo mai giungere ad accettare una “sessualità” che non implicasse più il fare sesso?
Dal punto di vista etico, si pone comunque una questione molto più importante, quasi “fatale”: producendo il piacere interamente nel cervello del singolo, a prescindere quindi dai rapporti che egli ha o può avere col mondo, la presenza dell’Altro diventa inevitabilmente superflua o addirittura ingombrante. A quel punto, cosa ce ne faremmo dell’Altro? In che modo lo collocheremmo nel nostro territorio? Non saremmo forse tentati di escluderlo il più possibile dal nostro mondo perché ormai paghi dei godimenti che ci vengono garantiti scientificamente e socialmente a livello individuale?

Il sogno dell’uomo definitivamente alienato è quello di fare a meno dell’Altro, di mettere cioè fine individualisticamente a ogni alienazione della propria presenza, eliminando in modo progressivo e radicale ogni necessità di interagire con la massa o con l’individualità degli altri singoli viventi.
La necessità di avere bisogno degli altri diventa così il fondamento stesso dell’alienazione, di ogni alienazione “umana”. Anziché quindi trasformare le cose e le relazioni della necessità in desiderio di superamento, in critica reale del possibile, si tende ad abolirle in dinamiche improntate a una sorta di radicale solipsismo edonista, il quale, con ogni evidenza, rimane uno dei fulcri spettacolari del capitalismo avanzato.
In altre parole, invece di incidere sui rapporti materiali della necessità, riempiendo i vuoti e mitigando le separazioni di ordine sociale, si preferisce mirare al vuoto assoluto e alla separazione definitiva, grazie ai quali, scientificamente, si spera di trovare una soddisfazione assoluta, replicabile e a prova di umano.

(Esautora ciò che resta di Dio e sventa la sua ombra. Osteggia la morte senza maledirla. Lacera ogni bandiera. Abbandona la casa del padre. Osanna l’amico. Glorifica la carne. Riprenditi la vita. Diventa la verità dei tuoi affetti. Condividi la tenerezza. Spartisci la fame d’assoluto. Crea com-unicità affettuose. Ritorna a casa senza fare alcuno sconto alla storia del tuo sangue).


NOTE

[1] Euripide, Μήδεια, vv. 572-575. Versione di Ettore Romagnoli. Prima rappresentazione: Atene, 431 a.e.v.

[2] Georg Büchner, Teatro, Adelphi, Milano, 1978, p. 46 [La morte di Danton, atto II].

[3] Cfr. James Hughes, “From Virtual Sex to No Sex?”, 2007.