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Ghérasim Luca (Bucarest, 1913 – Parigi, 1994) è stato il poeta dell’oltranza. Il suo spazio letterario è un continuo incendio di parole, non traducibile in altre lingue, se non a fatica e in modo smozzicato, impertinente.
Amatissimo da Deleuze, con Luca si realizza (non chiedetemi perché, leggete e basta, leggete e fatevi attraversare) ciò che affermava o forse sperava André Breton: anche le parole fanno l’amore. – Fanno l’amore tra di loro, ma fanno l’amore anche con chi le mastica, le legge, le spaccia negli angoli pisciosi della cosiddetta poesia.
Se mi concedete la formula, Ghérasim Luca era come se venisse in faccia alle parole. Nessuno più di lui (a parte un certo Artaud) ha piantato simili lame nel giardino delle Lettere sperando che un giorno diventassero coltelli ineludibili.
Prima di donare il suo stanco corpo alla Senna, Luca non ha mai approvato i limiti del linguaggio e li ha combattuti strenuamente (e gioiosamente) calibrando i fonemi come se fossero piccoli uccelli da liberare.
Diamo atto al grandissimo poeta di aver liberato (indirettamente?) anche parte delle nostre vite, facendo scricchiolare i vincoli del triste e patetico “diritto di parola”. [Le traduzioni dei testi di G. Luca sono mie.]

*

(…) donna io sono molto bello. donna, da quando t’ho vista spazzolo i miei abiti tutti i giorni. non esco mai mal rasato in strada, e mi lavo i denti tutti i giorni. ho cominciato ad imparare il francese. leggo solo buoni libri, conosco a memoria i nomi di autori celebri. potrei scriverti mille lettere al giorno. potrei parlare della luna, della felicità e del nostro avvenire. potrei recitare i versi dei poeti che sono diventati pazzi d’amore. potrei fare delle capriole e recitare il Padrenostro tre volte senza respirare. posso fare tutto quello che vuoi. posso darti un focolare tranquillo oppure una casa chiusa. e un vestito di seta e una graziosa figlioletta e un’automobile. posso fare tutto ti chiedo soltanto di guardarmi un po’. perché non mi guardi? potrebbe darsi che io ti piaccia. ho trentadue denti tutti sani e a posto. ho le unghie pulite, cinque ad una mano, cinque a quell’altra. ho cinquecento sacchi nella tasca di dietro, ho una chitarra sulla quale potrei suonare le arie più romantiche. posso farti piangere. posso anche farti ridere. io so mordere, tirare i capelli, leccare le tue parti più sensibili. conosco a memoria le gengive, il palato e l’orecchio. so provocare diverse sensazioni al seno destro. altre a quello sinistro. ho un programma inedito tutte le sere. durante l’atto sessuale so sfruttare i tuoi gemiti. so sfregarmi alle pareti per raffreddarmi quando tu bruci. so insultarti quando hai delle crisi isteriche. so fare quello che vuoi. tutto quello che vuoi, so fare, donna, purché tu mi guardi un po’, donna, abbi pietà di me, donna, abbi pietà di me, donna.

“Romance”, testo apparso sulla rivista rumena Alge (1933). Ripreso in Supérieur inconnu, n. 5, ottobre-dicembre 1996.

L’inventore dell’amore

(…)

Se compiendo questo semplice atto:
annusare i capelli dell’amata
non si rischia la vita
non s’impegna il destino
dell’ultimo atomo del proprio sangue
e dell’astro più lontano

se in questa frazione di secondo
in cui si compie non importa cosa
sul corpo dell’amata
non si risolvono nella loro totalità
i nostri interrogativi, le nostre inquietudini
e le nostre aspirazioni più contraddittorie

allora l’amore è davvero
come lo considerano i porci
un’operazione digestiva
di propagazione della specie

Per me gli occhi dell’amata
sono gravi e velati quanto
un qualsiasi astro
ed è in anni-luce
che bisognerebbe misurare le radiazioni
del suo sguardo

Si direbbe che la relazione di causalità
tra le maree
e le fasi lunari
sia meno strana
di questo scambio di sguardi (di lampi)
nel quale si danno appuntamento
come in un bagno cosmico
il mio destino
e quello dell’intero universo

Se tendo la mano
verso il seno dell’amata
non sono sorpreso
dal vederlo all’improvviso
coperto di fiori

o che di colpo faccia notte
o che mi si porti una lettera sigillata
in mille buste


Nelle regioni inesplorate
che ci offrono di continuo
l’amata

l’amata, lo specchio, la tenda
la sedia


offusco con voluttà
l’occhio che ha già visto
le labbra che hanno già baciato
e il cervello che ha già pensato
come fiammiferi
che servono una sola volta

Tutto dev’essere reinventato

(…)

L’inventeur de l’amour, 1945.

Ermeticamente aperta

l’amore il torrente il vuoto la sedia
la sedia vuota
la sedia torrenziale e vuota sospesa nel metavuoto
la metasedia è sospesa alla corda torrenziale del metavuoto
la metacorda serra e assorbe il metacollo torrenziale
di colui che è sospeso per la corda
al collo della donna
al collo fluido e fluttuante della sua metadonna
vuota torrenziale e seduta
la metadonna torrenziale è seduta sulla sedia
seduta sul vuoto della sua sedia
lei metafluttua perpetuamente nel metavuoto assoluto
dei miei desideri assolutamente torrenziali
assolutamente meteorica e sostanziale
la metatesta della metadonna sostanziale e meteorica
spunta come una freccia
tra la metacoscia dei miei sogni e il metadente dei miei desideri
freccia pungente e veloce
che s’appoggia leggermente inclinata
allo schienale della metasedia dei miei sogni e desideri
sempre seduta sempre imprevedibile e assolutamente folgorante
la metadonna fluttua e metafluttua sempre nel vuoto
la sua piccola metafiamma visibile in trasparenza
brucia nell’interno torrenziale della sua testa
mentre vicino all’incandescenza della sua testa
poco al di sopra della sua grande capigliatura meteorica
passa come una nuvola
nuvola proveniente dall’evaporazione istantanea
dei suoi vasti torrenti mentali
la grande tartuca metafisica
la famosa tartuca della metatortura eterna
che minaccia col suo peso grigio torturante e metametafisico
il bel fisico carnale della metadonna
concretamente seduta sulla sua metasedia volante
volante fluttuante e seduta a sua volta
sulla sedia voluttuosamente sostenuta dai piedi dei miei sensi
dai miei cinque sensi dai mille artigli
e dalle mille zampe della metasensualità passionale
sorta tumultuosamente nel metasudore
nella metasostanza infinita dei miei sensi
assolutamente sostanziali
i begli occhi i bei seni le belle natiche metafisiche
della metadonna assolutamente sostanziale
sostanziale torrenziale e meteorica
trasgrediscono l’aldilà torturante
della metafisica senza fisica
trasgrediscono e annullano il grande nulla metafisico
perché sempre seduta sulla metasedia meteorica
dei miei desideri meteorici infiniti e torrenziali
la metadonna apre la donna
lei apre e discopre la sua carne traslucida
le sue viscere trascendenti la sua capigliatura trasmissibile
eruttiva divorante e dormiente
il suo cuore trapassato dalle pallottole trasparenti
delle mie carezze in trance
la sua dolce metavulva
il trapianto innocente del fiore della sua bocca
nelle terre aeree delle mie cosce
la trasmigrazione della bocca della sua anima
verso le cosce del mio respiro
i trasferimenti insoliti
le trasfusioni insondabili
la trasmutazione gigantesca di tutti i metametalli amorosi
meteorici torrenziali metameteorici e sostanziali
la trasmutazione gigantesca perpetua e trionfante
del latte materno
in lava meteorica in metavuoto sostanziale
in sperma in sperma e in metasperma universale
in sperma del diamante
in sperma del tuo cuore
in sperma nero della metalussuria assoluta
assolutamente lussuriosa e assolutamente assoluta

Hermétiquement ouverte. Poesia tratta da Héros-limite (1953).