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anarchia, anarchismo, CNT-FAI, collettività anarchiche, Flavio Costantini, Hobbes, Il post-anarchismo spiegato a mia nonna, libertà, Max Stirner, Michel Onfray, movimento, Nexus Co., pamphlet, post-anarchismo, Proudhon, Sade, Spagna 1936, unicità
L’illustrazione di Flavio Costantini, messa qui a corredo del post, non è stata scelta a caso: il Bakunin che sale le scale, per quanto mi riguarda, simboleggia banalmente le difficoltà, la fatica, ma anche la protervia e la gioia intransigente di chi cerca di risalire la corrente dei movimenti reali per realizzare l’anarchia, ossia quella comunità umana senza più potere, Stati e Chiese, infine liberata da ogni forma gerarchica di sfruttamento.
Ve lo dico chiaramente: io credo che l’anarchia sia realizzabile, che non sia cioè una mera utopia, e ho già cercato, in passato, pur con tutti i limiti e le contraddizioni che mi porto dietro, di illustrare il mio pensiero sull’argomento (cfr. ad es. le Note sulla sovversione senza padroni).
Detto questo, trovo patetici e confusionisti alcuni tentativi in atto di revisionare l’anarchismo. Non che quest’ultimo non debba rinnovarsi e restare efficace, intendiamoci. Il mio anarchismo, ad es., non è certo quello degli anarcosindacalisti asturiani del 1934, né quello di chi blatera acriticamente su Malatesta o Durruti senza leggere o pensare nient’altro. Un pensiero anarchico chiuso in se stesso sarebbe anche ridicolo, siamo seri. Tuttavia, bisogna ricordare che l’idea di anarchia, etimologicamente, teoricamente, storicamente, significa qualcosa di ben preciso: assenza di governo, di autorità; di conseguenza: sviluppo autonomo e sempre più ampio delle individualità e dei gruppi umani (e non solo umani, ormai). Il che significa, come ovvio sillogismo, anche un’altra cosa: qualsiasi pensiero che si allontani da questi assunti non può più definirsi anarchico; qualsiasi pratica che si ibridi con il potere, lo Stato, il capitale, ecc. non ha niente a che fare con l’anarchia, anzi, a mio avviso la allontana, la rende un trastullo per intellettuali, un giochino intrigante per giovani e vecchi adolescenti.
Ecco da dove nasce il mio proposito di riflettere su quei flussi di pensiero contemporanei che vanno ormai sotto il nome di post-anarchismo.
Certo, liberi voi di pensarla come vi pare, così come io son libero di ritenere i post-anarchici un passo indietro (per giunta meramente intellettualistico) lungo il percorso di liberazione “totale” che va sotto il nome di anarchia.
Insomma, sarà anche morto il soggetto (forse), vi sarà anche stata l’ubriacatura del post-moderno, qualcuno si sarà pure comodamente installato in qualche angolino culturale e universitario, ma l’anarchia, in tutto questo, e anche contro tutto questo, o rimane un tentativo che agguanta la totalità dei nostri possibili per “rivoltarli” radicalmente rispetto all’esistente, oppure non è.
Il pretesto di queste mie riflessioni è stata la recente pubblicazione in italiano di un opuscolo di Michel Onfray, ma in realtà vi renderete conto anche da soli che metto da subito molta più roba sul fuoco.
Inutile però farla lunga.
Qui scaricate il pdf con l’intero testo: Alcune note assai pedanti sulla scarsa necessità di un post-anarchismo – pt. 1
Buona lettura.
P.S.: nei prossimi mesi continuerò a salire le scale, insieme a Bakunin e a molti altri. Per cui, se volete, restate nei paraggi. Grazie.
Ma l’anarchia è fatta solo di cooperative o qualche figlio di papà con il pallino del commercio può liberamente assumere e far felice chi cerca solo una retribuzione degna. In poche parole se io sono anarchico devo vietarmi il lavoro salariato o posso essere più eleatico per non perdere la qualifica di anarchico?
Non essendo io un figlio di papà, non avendo il pallino del commercio, facendomi schifo l’idea stessa di sfruttare la forza-lavoro degli altri, né interessandomi più di tanto a ciò che è “degno” in ambito economico, potrei anche sollevarmi dal rispondere alla tua domanda.
Ma sarebbe troppo facile e comodo.
Non capisco peraltro cosa intendi per “eleatico”. Ad Elea, se le mie traballanti nozioni di filosofia non m’ingannano, ci furono due scuole di pensiero, non proprio convergenti (Parmenide e Democrito)… Do quindi quasi per scontato che tu intenda per “eleatico” un sinonimo generico di “filosofico”.
Detto questo, mi rendo conto di quanto sia facile (talvolta) criticare le idee degli altri e di quanto possa invece rivelarsi azzardato e anche autoritario criticarne la vita, le azioni. Si finisce infatti assai spesso per assumere una posizione da “prete”, da rompicoglioni che maneggia più o meno felicemente nozioni e concetti che restano o possono sembrare astratti.
Ciò avviene di sovente e da sempre negli ambiti più o meno “rivoluzionari”. C’è sempre qualcuno che è più anarchico di te, qualcuno che si picca di avere più “verità” di te, ecc. Cosa normale, direi. Anzi, è una cosa tipica dei consessi umani che usano o cercano di usare il cervello, mi pare.
Il punto è non far diventare le idee dei dogmi, delle “idee fisse”, come le chiamava Stirner. L’anarchia è una tensione verso la totalità dei nostri possibili (contro ogni mediazione autoritaria, contro ogni sfruttamento dell’uomo sulla natura, ecc.), ma non è la totalità metafisica dei preti.
Non c’è purezza o virtù, nell’anarchia, checché ne dicano le vestali del pensiero libertario o i “militonti” proni astrattamente alla Dea Libertà. Anzi, io ho sempre considerato l’idea di purezza o di virtù un’idea religiosa, e che fa solo danni (pensa ai giacobini robespierristi, tanto per fare un esempio storico banale). L’anarchia è qualcosa che è sempre in movimento, qualcosa di instabile, e che è anche difficile da contornare in un anarchismo. Quindi come farebbe a stare dentro un recinto (sempre astratto) di purezza? Solo gli imbecilli possono pensare una cosa simile, solo coloro che non si sporcano le mani con la vita.
Altro discorso, beninteso, la coerenza. Ma quest’ultima non è un dato di fatto, bensì un processo, un flusso di esperienze e di eventi che presentano una logica, una continuità tra di loro. E da dove nasce questa “continuità”? Dal verificare e dallo sviluppare il pensiero che ne nasce o che ne viene investito.
In poche parole, e come ho cercato di dire nella prima parte del mio scritto sul post-anarchismo, l’idea di anarchia è nata storicamente “rotonda” e non può certo finire “quadrata”, e neanche la quadratura del cerchio è possibile, se mi concedi la metafora geometrica. Invece l’anarchismo, in quanto insieme di idee derivanti dai movimenti reali che sviluppano “anarchia” più o meno consapevolmente, può essere passato al vaglio degli eventi umani e può cambiare. Ma se cambia troppo, rispetto all’idea di anarchia, se introduce al suo interno idee che non sono “anarchiche”, finisce per diventare altro o per essere fuffa (come una parte dell’anarchismo post-strutturalista).
Infine, e rispondo alla tua domanda (provocatoria? E sia! Anche le provocazioni hanno un loro senso), io personalmente ho accettato per brevi periodi di lavorare come salariato e ancora lo faccio. Ho vissuto per anni di espedienti e mi sono anche divertito, ti dirò. Scelte faticose, non facili, e che per un momento ho anche abbandonato (senza per questo sentirmi in colpa). Ma mai e poi mai mi sognerei di sfruttare gli altri o di subordinarli a dinamiche autoritarie per il mio tornaconto personale. Poi, sai, come dico nello scritto qui sopra, “Ognuno ha l’anarchismo che si merita”.
P.S.: su ‘sta storia della purezza tornerò comunque nella seconda parte di “Alcune note assai pedanti, ecc.”.
Errata corrige: “elastico”.
Dunque, ti dirò sinceramente che non ho capito una mazza, concretamente. (se non ti offendi) 🙂 Me lo rileggo con calma appena finisco questo post…
Credo di aver capito però una cosa: che ognuno ha la sua anarchia, ognuno ha il suo Dio, ognuno il suo Stato, ognuno i suoi vizi, ognuno i suoi dubbi… ognuno crede a modo suo… ecc..
Se mi permetti due cose:
1) La maggior parte degli esponenti del pensiero anarchico (autoctono) americano tolleravano il lavoro salariato ma dentro precisi confini… diversamente da molti altri anarchici, (Europei) che fecero del diritto all’intero prodotto del proprio lavoro, la pietra angolare dell’anarchismo…
2) Tu lo chiami sfruttamento io la chiamo scelta; forse più che il salario in se stesso che determina l’ingiustizia, è l’ingiusto compenso ricevuto dal produttore, che lo priva di una parte del prodotto del suo lavoro… Ma se tu ti senti sfruttato…. temo che nemmeno un’economia asservita ad un’idea, intollerante di qualsiasi volontà diversa, mi convincerà di avere intrapreso la strada verso la libertà…
Che dire, a questo punto sono diventato il più anarchico io di tutti, perso nello spazio infinito dei dubbi metafisici…. Che tremenda sensazione…
A me l’anarchismo pare in coma profondo….se non addirittura morto e/o fuori dalla storia. Certo una maglietta con la A cerchiata fa sempre figo e alla moda…
Eppur si muove…. 😉
Saluti.
Non mi offendo, no, ma tieni presente che nel mio commento precedente davo per scontato che tu avessi già letto tutto il “malloppo”…
Mi preme ora una sola precisazione: non sono un individualista, ritengo dunque che le cose si giochino insieme ad altri e che l’anarchia, per come la penso io, debba innescare in qualche modo dei processi di comunizzazione, cioè di autoproduzione collettiva della comunità, se mi consenti la formula quasi hegeliana. Quando dico che ognuno ha il suo pensiero (o il suo anarchismo, ecc.), non escludo quindi per niente la costruzione di intese collettive sempre più fruttuose, anzi!
Non mi dilungo però oltre. Se proprio vuoi farti del male leggendo qualcos’altro di mio (e di molto più esteso) in relazione a tutto ciò, ti rimando al seguente post: https://carminemangone.com/2013/03/06/note-sulla-sovversione-senza-padroni/
Mi rimane però una curiosità: se pensi davvero tutto quello che dici su anarchia e dintorni, allora cosa cerchi qui? Non mi sembra che le nostre rispettive concezioni siano facilmente conciliabili, e benché io sia sempre e ancora per cercare delle affinità (sono uno che si muove su obiettivi concreti anche con marxisti “libertari” e con gente assolutamente fuori da ogni movimento “politico”), il tuo discorso su salariato, sfruttamento e dintorni non mi sembra granché originale in rapporto all’esistente (vogliamo definirlo vagamente anarco-capitalista?).
Ricambio i saluti.
Condivido intese collettive sempre più fruttuose come hai scritto, e come vedi ciò che ci distingue è un approccio più Liberale da parte mia…
Anarcocapitalista no, nemmeno vagamente, e come definire le tue idee soltanto collettiviste rivoluzionarie, anche se credo ci sia qualcos’altro, che forse non condivido e non capisco fino in fondo, ma rispetto.
Forse come Popper combatto anch’io l’idea, (contro ogni idea), che tenda ad affermare come proprio fondamento una verità assoluta…
No. Semplicemente non credo che esista una ricetta assoluta e inattaccabile, e questo vale anche per l’anarchia.
Può anche darsi che sia anarchico, in preda ad una crisi filosofica mistica che mi attanaglia da tempo…
Tolgo il disturbo.
Saluti simpatici….
Eppur si muove…
Allora siamo in due, ad avercela con le verità “assolute”.
D’altronde, la “verità”, o si scioglie dentro le nostre vite e si accomoda nelle nostre relazioni col mondo (diventando solùta, soluzione condivisa), o è un guscio vuoto.
Nessun disturbo. Ci si muove, ci si muove…
ho scoperto il tuo blog attraverso un’amica e ne sono felicissima.. attendevo di leggere questa frase da un bel pò “l’anarchia o rimane un tentativo che agguanta la totalità dei nostri possibili per “rivoltarli” radicalmente rispetto all’esistente, oppure non è”.. ci credo anch’io… ripasserò volentierissimo =)
Ciao, benvenuta.
Che dirti?… Le “note pedanti” sono anche il tentativo di sistemare i miei brandelli di pensiero sul tema dell’anarchia.
Ovviamente, il discorso non si esaurisce qui. Anzi, a dirla tutta, il discorso intorno all’anarchia non si è esaurirà mai all’interno dei libri, deborderà sempre da qualche parte, proprio per la “natura” di certe relazioni, di certe idee.
Mi sembra peraltro evidente che ci sia ancora moltissimo da dire, da ridire e, soprattutto, da fare.
Ad esempio: cosa implica questa totalità cui mi riferisco blandamente qui e là? Non certo una qualche raffazzonata metafisica. Bisognerà quindi affrontare il tema, cercare di unire almeno tendenzialmente i vari flussi di pensiero, criticare certi concetti inventandone magari altri più consoni ai movimenti reali (lo farò a proposito di Saul Newman e Deleuze); scontornare quindi il quadro per ricomporlo, se necessario. Poi ci sarà da tornare sulla falsa dicotomia individualità/comunità (tutta borghese), nonché sulle esperienze anarchiche più recenti – e su come poterle sviluppare. Ci sarà inoltre da capire come si evolve il capitale, come si esprime, cosa comporta per le attuali lotte. Eccetera.
Ho molte lacune, ci sono ancora molte imprecisioni nei miei “schizzi” teorici. Spero solo di avere il tempo e l’agio per dare maggiore concretezza a ciò che mi preme.
beh, allora attenderò volentieri i tuoi prossimi post su questi vari aspetti ma penso che la cosa importante sia sapere di non dover fare tutto da sol@. Questi argomenti sono così complessi che bisognerebbe discuterne in un’assemblea permanente quotidiana.. e forse un giorno ci sarà una in ogni comune. Intanto i pensieri altri, almeno per me, sono sempre i benvenuti =)