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affinità di potenziale, ebook, Filippo Pretolani, gallizio, La follia del giorno, Maurice Blanchot, Rufus Segar, scrittura
Alcune annotazioni buttate giù ripensando a ciò che è stato – per me e per Filippo Pretolani, alias gallizio – il prendersi cura di un testo di Maurice Blanchot: La follia del giorno, pubblicato in ebook da Maldoror Press e che si può scaricare gratuitamente ai seguenti link: <1> <2> <3>
L’illustrazione in fondo al post è di Rufus Segar.
Beati coloro che non si costringono a vivere dentro le proprie scritture, perché essi non avranno alcun dominio da difendere.
Le matematiche e la scrittura sono nate a partire dal simbolo, ma ciò non vuol dire che occorra vivere con filosofia.
Non ci si bagna due volte nella stessa lettura.
Amo Blanchot perché mi costringe a fluire col suo pensiero e a inventarmi zattere per non affondare il mio in quello stesso movimento di lettura e di iscrizione.
Certe letture aumentano la portanza del sapere. Si diventa più leggeri. Non ne resta infatti un qualche scampolo di testo a tracciar mappe o a zavorrare menti, bensì il processo stesso della lettura, il lèggere: piano di lettura dove non si rappresenta più nulla, perché tutto lo scrivibile (il narrabile, anche) è da attraversare ogni volta, ad ogni vita, dentro il territorio mutevole del senso.
Il che non implica affatto la fine della scrittura o del narrare. Muore il racconto come conseguimento di una storia, non il tener conto di tutte le narrazioni possibili nel quadro di una nuova sapienza. Si mostra estenuato un certo modo di utilizzare la memoria e gli elementi memorabili, non l’inclinazione a raccordare e ad immaginare i possibili che fonda gran parte della riflessività umana.
Bisognerà farsi leonardeschi e impiantare nuovi athanor anche in ciò che sembra più lontano da ogni mutamento. La fissità non esiste e le “idee fisse” sono ferali. Nuovi addensamenti di senso – diciamo meglio: nuovi saperi agglutinati grazie a molteplici unicità agenti – verranno a comporsi intorno ad affinità di potenziale, le quali amplificheranno irrimediabilmente le eventualità di autogodimento in ogni forma di vita.
Abbiamo giocato abbastanza con la differenza. La differenza è diventata uno spettacolo del capitale. Ora bisogna tentare nuove comunanze tra forme-di-vita, senza rilegarle necessariamente in un Libro o in uno stato di consistenza (che è sempre, quest’ultimo, il consistere di uno Stato). Sfida immane, smodata, e che ci proietta paradossalmente verso una nuova origine dell’uomo.
Chiamatela anarchia, se volete, ma non imbrigliatela mai più in un anarchismo.
11 gennaio 2014
un bellissimo canto del cigno.
Se ti riferisci al testo di Blanchot che è stato ripubblicato in ebook, son d’accordo, ma solo se si dà per assodato che il canto non morirà col cigno. 😉
Mi riferivo sì, al testo di Blanchot. Diamolo per assodato:)
Ma dove l’hai letto, che la matematica è nata dalla filosofia?
(consiglio Storia della Matematica, Carl Boyer)
e sì, lo so, a volte posso essere noiosa e pignola 🙂
ciao
N.
I numeri, lo zero, l’infinito, ecc. ecc. vanno pensati, indi per cui è nato prima il pensiero della numerazione e poi ciò che oggi chiamiamo matematica.
Ci sono popoli considerati a torto primitivi che non conoscono “matematiche”. Gli amazzonici Pirahã, ad es., hanno solo dei lessemi per indicare l’unicità, una vaga dualità e una qualsiasi altra molteplicità: uno, due e molti, insomma.
Fidati, è nata prima la “filosofia”, cioè l’amore per il sapere e il sapere dell’amore, e poi la matematica.
è nata dalla necessità materiale di contare e misurare le cose possedute…molto più prosaicamente (avevo dodici pecore stamattina; al rientro conto le dita delle mani e dei piedi e me ne manca una…maledetto lupo bastardo…) -smack!-
Infatti, è nata con la sedentarizzazione degli umani e con tutti gli effetti e le concause che vi sono legati (la domesticazione, ad es., a proposito di pecore e di altri simpatici animaletti). Anzi, per meglio dire, l’esigenza di contare e di creare strutture logiche legate alla numerazione è nata con il consolidamento di riserve di oggetti, con la “proprietà”; i nostri progenitori, che erano cacciatori-raccoglitori nomadi, non avevano necessità di contare, perché non avevano “riserve”, la loro vita era improntata sul consumo immediato del mondo e non sull’accumulazione di parti di esso – ma essi avevano plausibilmente già sviluppato delle strutture embrionali di pensiero sfruttando la grande riflessività in divenire della specie Homo, dovevano avere ad es. una visione mentale dello spazio e del territorio, un modo di porsi prospettico (diciamo così) nei confronti della totalità in cui erano immersi, ecc.; insomma, non scrivevano né contavano, però già avevano una base comune di riflessività oggettivata, ossia i fondamenti appena abbozzati di un pensiero della propria presenza nel mondo, nonché dei modi per trasmetterlo.