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PeterKlasen

 

Molti dei miei presunti simili vogliono avere una parola per tutto. Io, al contrario, vorrei avere un mondo per ogni parola.
Lascio poi volentieri agli altri il cruccio dell’ultima parola, ossia quel tentativo di dire la propria grana, di fissare la propria definizione, considerandolo per giunta un atto “adulto”, una manifestazione di conoscenza irrinunciabile.

Io credo solo ai picchi in cui si raggruma l’esperienza immediata del mondo a partire dalla mia capacità di creare un senso all’interno delle mie relazioni con l’Altro.
Un aforisma, un distico, ciò che rimane di una narrazione: possono riportarmi (anche d’improvviso, anche mio malgrado, e talvolta inopinatamente) la verità pratica della presenza, del respirare, del vedere.
Parlo di verità pratica, rubando la formula a Isidore Ducasse, perché si tratta di agire dentro le relazioni e di realizzare delle presenze compiute.
La verità – quest’idea stolta che mi trascino dietro come un’affezione bambinesca (ma quanto ingenua?) – significa anzitutto ciò che si sottrae al valore, alla durata, pur continuando a toccarmi – a toccarmi in sorte e a sortire toccamenti, sfregamenti tra carne viva e senso.
La ripetizione di questi (con)tatti è la vita semplice, quindi l’assunzione di un ritmo che non sia soltanto mio e che mi permetta nondimeno di eludere il più possibile le dinamiche sociali della necessità.

Bisogna aggiungere sempre uno o più cuori al corpo del proprio affetto.

Pretendiamo una stabilità, noi umani civilizzati, perché non sappiamo più spostarci tra il deserto del prima e il naufragio del dopo.

Senza battere ciglio, e soprattutto dentro il nostro stesso sangue, abbiamo intessuto una pretenziosa viabilità, una sorta di turismo poetico delle sensazioni, invasivo e stupido come ogni turismo.
In realtà, solo quando saltano le geometrie si apre per davvero un piano d’affetto immediato per le unicità carnali e di pensiero.

Il libro del futuro sarà composto da testi che emergeranno da supporti fotosensibili, modificantisi in base allo stato d’animo e ai desideri del lettore che vi si “specchierà” (o che si proietterà in essi anche solo in parte).
Il lettore diverrà quindi un coautore del testo, un riplasmatore incessante delle scritture di base. La cornice rimarrà suggerita,
ciò è ovvio, ma quale opera non nasce già da sempre con un’immissione di alterità e di sovratestuale?
Ovviamente, questo libro futuribile – il libro fotosensibile e umorale – sarà interconnesso col mondo del lettore scrivagente, ossia di quel lettore “irretito” dagli elementi significanti del proprio mondo e che diventa rete egli stesso, senza però tradire il pescatore che è in lui e senza pretendere che il pescato diventi un’altra necessità, un altro diritto formale. 

Grazie ai mobile devices e alle connessioni a distanza, la scrittura non è più qualcosa di separato dalla vita quotidiana di chi scrive, né dà origine in automatico ad un ruolo specialistico in capo allo scrivente. Ormai la scrittura avviene e si compie nell’immediato.
È ciò che io chiamo scrivazione.

Il desiderio autoritario dell’ultima parola morirà nell’incommensurabile bacino del supertesto. La lotta delle parole (con le parole), agganciata alla concretezza materiale delle relazioni (e facente relazione essa stessa), avverrà su scala globale, nell’immediatezza cui ci obbligano l’economia e la contraddizione tra necessità e volontà.

Per supertesto, intendo qui il moto di parole e segni che ci dice a partire dalla frammentazione moderna del sapere unitario di marca teologico-politica. Un nuovo oceano, solcato da innumerevoli Ulisse e da una miriade di Sirene, dove il dire apparterrà a tutti attraverso l’unicità di ognuno.
Ciò che chiamo supertesto è quindi lo sviluppo auspicabile e possibile dei saperi umani, in un movimento volontario che comunizzerebbe, senza più gerarchie, le espressioni umane, la poesia, le narrazioni.


23 luglio 2014. In alto: litografia di Peter Klasen (1967) per la rivista The Situationist Times; in basso: rotolo di pittura industriale di Pinot Gallizio.

 

PINOT-GALLIZIO-pittura-industriale

 

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