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Marek Kamieński Pasifae

Noi umani siamo tenuti insieme da vincoli specifici, legati al soddisfacimento di fame, sete, ecc., nonché da attrazioni particolari di carattere desiderante, le quali nascono e si riverberano dentro i nostri mondi simbolici, affettivi.

I legami sono la traccia, la continuità che trasmette il movimento, e che si potrebbe definire affinità di potenziale.
Mi riferisco qui alle connessioni tra gli elementi che formano la potenza, alle escrescenze mobili di ciò che definiamo mondo, ai picchi che creano l’emergenza stessa del mondo.
A ben vedere, questi legami, queste tracce, quando non si ossificano in strutture che instaurano una direzione, ci trasportano, ci scrivono, contenendo in potenza tutte le presenze del nostro spazio. Non sono anelli di una catena, bensì rilegature, segnalibri piantati nel bel mezzo del giorno. Si affermano quindi come vasi comunicanti, retaggi senza irretimenti, finendo per impaginarci in quelle tante traiettorie fra le cose e i viventi che costituiscono il nostro territorio.

Occorre chiedersi perché dominare i legami, e se è proprio necessario. Chiedersi, in subordine, se l’arte, tra le altre tecniche d’intervento umane, debba essere un legante, un “colloide”.
Incollare le diverse parti del mondo per significare il movimento del senso: non è buffa questa pretesa idealmente artistica?
Buffa, non contraddittoria. Non c’è niente di contraddittorio nello stato finemente disperso di ciò che tende a rilegare alcuni elementi dell’esistente mentre tutto il resto scorre via. D’altronde, la memoria dell’uomo non è forse già una forma di museificazione, di trattenuta sul senso mobile delle cose?

Il venire al mondo di ogni forma vivente è uno choc della materia, un sussulto del cosmo, una tumultescenza.
Essendo incarnazione di un possibile, nonché continuità irrimediabile tra ambienti e situazioni assai diversi, lo choc è sempre attraversamento di forme, di eventualità, di vite adiacenti. Non è un’allegoria, né tanto meno la rappresentazione di un simulacro.
La vacca di legno costruita da Dedalo per la regina Pasifae era un simulacro funzionale; servì infatti a Pasifae per farsi chiavare dal toro bianco inviato da Poseidone e del quale si era invaghita. L’amplesso mostruoso tra la regina cretese e l’animale fu invece uno choc. – Ogni dispositivo carnale che riguardi Eros è una macchina di choc, un detonatore di unicità.
Nell’immediato, lo choc ha una valenza, non un valore; viene a rompere, almeno provvisoriamente, il cerchio magico del valore, dello scambio, e lo fa negandosi alla stessa affermazione che volesse conservarlo, rappresentarlo, convertirlo in emozione spendibile.
Lo choc – la nascita – non implica necessariamente la ricerca di un’efficacia, né una gratuità che chiami allo scambio (come ad esempio nel potlatch).
L’efficacia e lo scambio si prefiggono un dato effetto, mentre lo choc è una diversione, un blocco del valore [La nostra Pasifae gode, ma poi abortisce stravolgendo il mito e facendo del Minotauro una morta eventualità; oppure prende delle precauzioni per evitare la gravidanza, per non contrarre debiti: coitus interruptus, blocco della circolazione monetaria.].

Marek Kamieński Bez tytułu

Col termine valore si può indicare ogni processo di unificazione generalizzata o tendenziale degli uomini a partire da un oggetto esteriorizzato e reso autonomo dalla riflessività stessa della specie (la “verità”, la “bellezza”, l’unità economica di scambio, ecc.). Tale processo mette sempre in atto una qualche forma di riequilibrio tra l’uomo e il suo mondo. Il valore può essere considerato infatti un processo di raffinamento (di “valorizzazione”) di ciò che si chiama alienazione sociale; dunque una riparazione, un appianamento socialmente determinato di tutte quelle separazioni nate agli albori della civiltà (si pensi qui alle binarietà interiore/esteriore, umano/animale, individuo/società, maschile/femminile, ecc.). I processi di valorizzazione rappresentano quindi una sorta di “terapeutica”, di aggiustamento e ricombinazione dei vari possibili dell’umanità; ma tali processi si rivelano sempre parziali, sempre da ricominciare, perché in essi l’uomo pensa il mondo e cerca di realizzare se stesso unicamente all’interno di un ambito specifico (e separato) dell’esistente.

Ora, se una rilegatura del mondo fosse generata dai picchi di senso – dagli “choc” – e non più dai valori, dalla (ri)produzione del valore, quale chance potrebbe mai verificarsi per l’umano?

Bisogna capire anzitutto se esista o possa esistere qualcosa di inscambiabile, qualcosa che non sia passibile di prezzo. Non un materiale sfruttabile, ma un’esperienza del rischio, dell’avventura, dove lo scambio degli oggetti lasci il posto ad un rimbalzare (anche inconsulto) degli affetti materializzati.
Sarà indispensabile costruire una critica pratica che riesca a sganciare l’uomo dalla gestione gerarchica delle riserve emozionali ed economiche. Anzi, occorrerà mettere in discussione l’idea stessa di riserva, come pure ogni concezione che s’irrigidisca intorno al concetto di durata.

Con lo sviluppo neolitico della tecnica e il conseguente aumento delle risorse di cibo, entrambi strettamente connessi al governo del fuoco, all’intensificazione della caccia e alla nascita dell’agricoltura, la specie Homo abbandona l’originario stile di vita legato ai ritmi naturali e al nomadismo (durato all’incirca 1-2 milioni di anni, a seconda delle diverse tassonomie e ipotesi paleoantropologiche) e si trova a dover gestire una sovrapproduzione di beni e un’accumulazione di riserve. Il processo di ripartizione e gestione di questo surplus più o meno permanente di prodotti dell’attività umana, col quale si supera la precarietà della sopravvivenza biologica (l’alienazione naturale), diventa così uno dei nodi essenziali della comunità umana. Questo processo sancisce la strutturazione gerarchica della società e la nascita di valori astratti. Si passa infatti, dalla ricerca di un soddisfacimento immediato dei bisogni umani, alla codificazione di misure per l’adempimento normato, differito e gerarchizzato dei bisogni sociali. L’intervento attivo sul proprio habitat di riferimento risolve in gran parte l’alienazione naturale dell’uomo, ma innesca la necessità di una rigida divisione del lavoro e di controlli sempre più estesi sulla ripartizione sociale delle risorse. La lotta contro la natura produce così la lotta tra gli uomini. E, in questi conflitti millenari, il capitale rappresenta lo stadio ultimo di razionalizzazione nella gestione storica dei valori socialmente imposti. Esso non ha fatto altro che intensificare e socializzare su scala planetaria i meccanismi che estraggono valore dalle qualità umane alienate.

Marek Kamieński SO.SI

Lo choc è la messa in comune di una rottura, oppure è una rottura che comunizza se stessa e gli elementi in gioco. Gli agenti della rottura (compresi gli scrivagenti, ossia coloro che trasmettono le parole della rottura, le immagini dell’esperienza che li esalta), devono sapersi aprire alla comunanza dello choc, al carattere di apertura dei corpi, ponendosi al di qua delle separazioni che derivano dalle mediazioni sociali.

Ciò che definiamo scambio, presuppone la separazione e l’individualizzazione degli scambisti. Non può esserci infatti alcuno scambio in un’effettiva continuità dei viventi, in una generalizzazione orgiastica dei loro pensieri, delle loro voluttà: i processi di comunizzazione (di continuità degli choc) non hanno fondamento, sono gratuiti – talmente gratuiti e infondati da cortocircuitare ogni ciancia batailliana su eccesso e dispendio.

Il foro, la breccia nel simulacro è la gratuità, il passaggio, l’assenza di fondamento – il che canalizza l’esperienza del vivente senza imporgli una direzione – in un’andatura che esautora ogni possibile capolinea.
Così abbiamo l’apertura nella vacca lignea che consente la coniunctio tra i diversi elementi sovrani (Pasifae, il toro divino), mentre la fica della regina micenea – appendice del suo desiderio – si fa depositaria della più immane eventualità relazionale, capace da sola di sospendere ogni alienazione possibile, in quanto soglia inesausta tra l’origine e la morte della necessità.

Ogni simulacro è ancora mediazione, mezzo di (ri)produzione. Fa da cinghia di trasmissione tra l’umano e il divino, tra l’umano e il fantasma (cfr. il ghost derridiano); media l’imponderabile, lo rintuzza. Gli stessi simulacri artistici, che sono i simulacri di un sacro deliberatamente abortito (o di un sacro a venire che si va “rivelando” all’artista), si pongono come elementi di scambio e di valorizzazione estetico-emozionale. – L’arte non può uscire dal labirinto. Non può assecondare Arianna. Se trova l’uscita, l’arte muore, perché non può far altro che alimentare il Minotauro e i suoi innumerevoli doppî in una diuturna mappatura del labirinto.

La vacca lignea di Pasifae è pur sempre una forma funzionale, mirante ad allargare la sfera del possibile e a fare di questo allargamento un rilancio degli scambi tra i vari umori dell’esistente.
Lo choc ha bisogno anche del simulacro, ha bisogno di una messa in comune del desiderio che riesca ad “animare” il simulacro rendendolo più vero della sua materia, ma senza preservarlo, senza istituzionalizzarlo.

Il giorno in cui l’umano riuscirà a non chiudersi nella perversione della gratuità legandone la “mostruosità” all’ipertrofia dei segni e del valore, e propenderà, viceversa, per lo scatenamento dei proprî possibili fuori da ogni unità fittizia, otterrà finalmente un continuum (una comunanza) tra il desiderio, la necessità e la produzione di esperienze uniche, dando così vita ad una comunizzazione anarchica costituita in funzione dei nostri impulsi più spontanei ed amorosi.
La gratuità dell’esperienza conierà allora una nuova prassi, che sarà all’insegna di una mostruosa comunizzazione dei possibili. Ed ogni esperienza dell’umano si rivelerà una moneta non convertibile – una “moneta di choc”, per dirla con Pinot Gallizio –, spendibile solo nell’immediato e solo in morte di ogni prezzo.
Moneta senza verso, moneta cieca – pura unicità non differibile, fondamento di meraviglia e di esperienza.


Novembre 2013-febbraio 2014 (2 – continua). Illustrazioni dell’artista polacco Marek Kamieński.