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[Da oggi questo blog comincerà a variare i temi trattati. Un imminente e radicale cambiamento di “scenario”, unito ad alcuni impegni di scrittura (il mio libro sul punk, in uscita nel 2016), daranno senz’altro nuova linfa al mio principale spazio web facendomi sganciare dagli argomenti trattati in questi anni. Insomma, per non farla lunga, smetterò di blaterare intorno all’amore – o forse no, chissà, forse ci sarà solo una traslazione dell’affetto (e delle mie parole) verso altre forme di vita, verso altri elementi e “rumori” del mondo. Spero solo di non tediarvi. Di certo non correrò il rischio di annoiare me stesso.]





Quante scatole possono contenere una vita?
Troppi libri da stipare, dannazione!
Moti di impazienza che tengo a bada facendo dei profondi respiri.
Piccole pazzie, faccio piccole pazzie per restare calmo.
Divento autistico verso me stesso.
E penso alle piante spontanee commestibili e a quanta sagacia ci può essere nei saperi primari legati alla sopravvivenza dell’animale.
Pensate alla panificazione, anche.
Far lievitare saperi, corpi.
È come avere un mare sempre all’orizzonte. Ti apre ad ogni direzione, ad ogni approdo.
Voi direte: “Che cazzo c’entra il mare con il pane?”. In qualche modo, c’entra. Si urla “Terra!” ad ogni cottura dell’essenziale, no?
Poi torna la fatica e digrigno i denti al destino.
Difficile restaurare ogni volta il cuore. Si fa presto a dire vita.

Quante volte avrò calpestato delle piantine di borragine? Buffo pensare che in futuro ne mangerò delle discrete quantità. Le foglie lessate possono essere un passabile contorno. Dicono che siano buone anche le frittelle con fiori e foglie (prima passati in pastella, naturalmente). Devo provare, devo assolutamente provare.

borragineHo buttato giù il muro. Ne andava della mia dignità, anche della dignità di quelle che sono state le mie mancanze. Mi posso accollare gran parte delle responsabilità, ma non certo la memoria del fallimento.
Continuo a metabolizzare le sconfitte in un modo tutto mio: ogni volta che perdo, comincio subito una nuova partita col destino. Solo così riesco a superare l’eventuale impasse e a rendermi pienamente conto delle mosse sbagliate in precedenza. Il che mi rende un pessimo tattico, lo so. D’altronde la strategia tiene, almeno in apparenza, concedendomi l’ossigeno sufficiente per non sentirmi in apnea, a dispetto delle tante battaglie perse che vanno accumulandosi sul proscenio.
Intendiamoci, non ci sono soltanto ombre. Restano pur sempre parecchie luci ad illuminare le stanze della mia mente. In fin dei conti, ho avuto una vita – voglio dire: una vita con sprazzi immani e memorabili di compiutezza, con esperienze che hanno trasceso le abitudini, la necessità – e un tale convincimento mi procura una grande gioia.
Nonostante le mancanze, non ritengo d’aver fallito. Potevo fare di più, certo, potevo combinare molto di più nella vita, ma ciò in cui sono riuscito non si perderà del tutto, e avrà negli altri una qualche continuità, ne sono sicuro.

9 maggio 2015