Vorrò farti ciò che il sole fa alla neve. E sentirti su di me come a valle si sente la slavina.
Tentare il noi. Avere tra le gambe l’ostinazione dell’acqua. Scavare la pietra, l’altro. Tenere per mano il disastro e goderne.
Il presente non è un punto, il presente è la proterva dilatazione della nostra presenza in una medesima, reciproca appartenenza: senza misura, eppure insofferenti al disordine; amanti dell’attimo, dell’andamento, ci disponiamo alle radicali negazioni che l’amore esige e alle contraddizioni senza colpa che ci gettano nel mondo.
Adoro la nostra incapacità a star fermi dentro l’amore, come pure la nostra saldezza nell’odiare ciò che lo ostacola.
– Mi dici che ti fa male, che non ti va, che il mio cazzo è troppo grosso. Ma anche se non mi dai il culo, il mio impossibile ti ha già preso la testa e ormai ti è entrato in tutti i buchi del corpo e del pensiero.
Dopo i tumulti ogni volta più incresciosi, la tenerezza arriva sorniona e ci rapisce le mani balbettando sfioramenti elementari, gravidi di senso, ma senz’alcuna gravità.
– Esiste ancora un intero mondo in ogni carezza, sai?…
[Infilare una mano tra le gambe del destino, Asinamali edizioni, 2015. Fotografie di Francesco Napolitano.]
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