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Un’antologia di frammenti dedicati al gruppo anarcopunk CRASS, tratti dal mio: Punk Anarchia Rumore, Crac edizioni, Falconara Marittima [AN], giugno 2016, pp. 118, illustrato, euro 13.
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Nel 1976, muove i primi passi il progetto punk anarchico denominato Crass. In quell’anno, all’interno di un’improvvisata sala prove presso la Dial House, l’ex studente d’arte e poeta hippy Jeremy John Ratter (classe 1943!) si mette a martellare sui tamburi di una raffazzonata batteria, spalleggiato da un giovane frequentatore della casa, Steve Williams, il quale inizia a cimentarsi maldestramente alla voce (i due, in seguito, diverranno noti con gli pseudonimi Penny Rimbaud e Steve Ignorant).
La Dial House era una sorta di comune (una open house, come amano definirla i suoi abitanti) messa in piedi da Ratter e dall’artista visuale Gee Vaucher nei pressi di Epping, località dell’Essex capolinea di una delle due diramazioni est della Central Line, la “linea rossa” della metro londinese.
Dal 1968 al 1972, Penny e Gee avevano alimentato EXIT, un collettivo sperimentale d’avanguardia il cui repertorio spaziava dal free jazz americano all’avanguardia artistica europea. Il gruppo, che finì per collocarsi all’interno del movimento artistico Fluxus, fu spesso in giro per la Gran Bretagna e incluse, in rapporti di collaborazione più o meno informali, circa una ventina di membri, tra cui Steve e altri due futuri componenti dei Crass: il filmmaker Mick Duffield e Pete Wright.
Nel 1972, alcuni elementi di EXIT furono tra gli organizzatori di ICES 72 (l’acronimo sta per International Carnival of Experimental Sound). Si trattava del più grande festival d’avanguardia mai organizzato prima in Gran Bretagna, e che vide insieme, alla Roundhouse di Londra, artisti e gruppi provenienti da tutto il mondo, tra cui John Cage, David Bedford, Stomu Yamashta e Geoff Hendricks.
Nel 1969, Penny Rimbaud aveva intanto completato una raccolta di cinquanta poesie, dal titolo Acts of love, che sarà poi illustrata da altrettante opere di Gee, divenendo infine, nel 1985, la base testuale di uno degli ultimi dischi dei Crass (una miscela “barocca” di spoken word, musica d’avanguardia e free jazz che ricorda inevitabilmente l’esperienza di EXIT, in una sorta di ideale chiusura del cerchio).
It’s you who makes the world around you. / The silence is yours. // In every line upon your face / and every fold that holds your eyes / a story. / That story is you. // There is no cosmetic for our frustrations. // If upon my tears you build the utopia of which you dream, / be warned, / your pretty prejudice will push you again into maliciousness. // Beyond our alienation / and its tiresome manifestations / of violence and greed, / there is balance and harmony. // Isn’t the world already at peace? // I suggest togetherness, proclaiming my love and compassion. / Will you make that into a commodity, asset and possession? / It’s you who makes the world around you, / you alone can answer for it. – Sei tu a fare il mondo intorno a te. / Il silenzio è tuo. // In ogni ruga del tuo volto / e in ogni piega dei tuoi occhi / vi è una storia. / Quella storia, sei tu. // Non c’è alcun cosmetico per le nostre frustrazioni. // Se fondi sulle mie lacrime l’utopia dei tuoi sogni, / sta’ attento, / il tuo bel pregiudizio potrebbe sempre spingerti alla cattiveria. // Al di là della nostra alienazione / e delle sue disturbanti manifestazioni / di violenza e avidità, / c’è equilibrio e armonia. // Non era forse in pace il mondo? // Auspico la comunanza, parteggiando per amore e compassione. / Ridurrai tutto questo a merce, beni e proprietà? / Sei tu a fare il mondo intorno a te, / solo tu puoi risponderne. [Penny Rimbaud, Acts of Love, poem 37].
Degna di grande interesse rimane l’opera artistica realizzata da Gee Vaucher per illustrare i dischi e le pubblicazioni dei Crass.
Nata a Dagenham nel 1945, la Vaucher apparirà sistematicamente nei credits dei dischi con svariati nomi e pseudonimi (G., Gee, G.sus, Ge.sus), producendo nel corso degli anni decine di collage e tempere di grande impatto visivo, che ricordano i fotomontaggi politici del dadaista tedesco John Heartfield o le opere di surrealisti come Georges Hugnet, Jindrich Styrsky o Karel Teige.
Famosissimo è il poster che campeggia sul “retro” della copertina apribile dell’album The feeding of the 5000: un accostamento in puro stile situazionista tra la scritta “Your country is need you” – “Il tuo paese ha bisogno di te” – e la fotografia di una mano putrefatta impigliata nel filo spinato (lo scatto in questione era stato preso in Vietnam nel 1968 da Ghislain Bellorget). Tra le altre, vanno poi ricordate le illustrazioni per il disco Penis Envy e la zine International Anthem, eseguite talora anche ibridando varie tecniche (collage, inchiostro, tempera), ma sempre con grande perizia ed incisività.
L’idea di International Anthem era venuta a Gee nel 1977, durante una sua permanenza a New York, dove si arrangiava lavorando come illustratrice per la stampa periodica. Nelle sue intenzioni, la rivista – che aveva per sottotitolo “a nihilistic newspaper for the living” – doveva essere dedicata interamente alle arti visuali non convenzionali. La Vaucher ne ultimò cinque numeri tra il 1977 e il 1983, ma solo i primi tre vennero dati effettivamente alle stampe – e solo sul terzo compare il logo dei Crass [Per coloro che volessero approfondire l’opera di Gee, si consiglia il testo: Gee Vaucher, Crass art and other pre post-modernist monsters, AK Press, Edimburg/San Francisco, 1999].
Per la cronaca, il simbolo dei Crass non fu disegnato dalla Vaucher, bensì da Dave King, compagno di Penny e Gee alla scuola d’arte, nonché futuro batterista degli americani Sleeping Dogs. Il logo in questione rappresenta un’intrigante sintesi visiva tra una croce assalita da un serpente, un segnale stradale di divieto e un rimando (forse inconscio) all’Union Jack. Non si poteva quindi rendere più felicemente, da un punto di vista grafico, la “densità” di un progetto umano e politico come quello degli inglesi (Sui Crass raccomando due testi: George Berger, La storia dei Crass, ShaKe Edizioni, Milano 2010; Crass | no love, no peace, a cura di Marco Pandin, stella nera/edizioni Bruno Alpini, 2013. A quest’ultimo è allegato un cd con la registrazione del concerto dei Crass tenutosi a Nottingham il 2 maggio 1984).
I Crass sono stati una singolare ed evidente linea di congiunzione tra i movimenti contestatari degli anni Sessanta e l’emergenza del punk nel biennio ‘76-‘77.
Alcuni dei suoi membri avevano già vissuto in prima persona gli sconvolgimenti politico-culturali prodotti dal Sessantotto e si sono quindi portati dietro un bagaglio di esperienze umane e collettive da riversare criticamente nella nuova avventura.
La volontà di cambiamento e le istanze libertarie dei processi rivoluzionari del dopoguerra sono ibridate con il desiderio di una rottura radicale rispetto ai luoghi comuni e ai limiti sia della politica tradizionale (anche “rivoluzionaria”), sia della cultura giovanile (con particolare attenzione prestata al mondo del rock).
Coi Crass, l’anarchia diventa un progetto. Non è più una banale evocazione o un semplicistico augurio di caos. Non si limita ad una pappa preconfezionata per aspiranti teppisti, a base di A cerchiate o slogan urlati in un microfono fino alla noia. Tutte le attività del collettivo (i dischi, i concerti, la grafica, i film proiettati dal vivo, ecc.) sono all’insegna della più completa autogestione. Ogni cosa viene discussa, sviluppata e controllata direttamente dai membri del gruppo. I Crass scoprono che si può fare da soli, senza intermediazioni, senza vendere l’anima al mercato, e decidono che il punk può essere un eccellente veicolo per diffondere le più radicali aspirazioni di cambiamento libertario dell’esistente.
La label del gruppo – la Crass Records, alla quale nel periodo 1982-‘87 si affiancherà la Corpus Christi gestita con l’ingegnere del suono John Loder – nasce nel 1978 pubblicando il singolo Reality Asylum, cioè il brano che doveva aprire la prima release di The feeding of the 5000 per la Small Wonder, rifiutato per blasfemia dalla ditta di stampatura.
Fino al 1992, l’etichetta produrrà gruppi e individualità di grande interesse, tra cui: gli anarco-punk Poison Girls, Conflict, Flux of Pink Indians, Zounds; gli statunitensi MDC; gli islandesi KUKL (con una Björk neanche ancora ventenne alla voce); un EP di Captain Sensible, il bassista dei Damned, dal titolo This is your captain speaking (1981); il duo voce e batteria D&V; la poetessa e performer newyorkese Annie Anxiety.
Gli ultimi dischi dei Crass – in particolare 10 Notes on a Summer’s Day (1984) – non hanno più molto a che vedere con le sonorità tipicamente punk dei primordi. Spariscono le chitarre distorte e sferraglianti, la batteria sincopata, la voce urlata. Al loro posto, si affermano trame seriose, ostiche e molto più complesse, che sfociano in strutture musicali “avanguardistiche” (e decisamente noiose). Credo di non aver mai ascoltato per intero Yes sir, I will. Ogni volta, dopo pochi minuti, lo tolgo e metto qualcosa di diverso. Se posso scegliere, a certe elucubrazioni intellettualistiche, preferisco addirittura l’harsh noise di giapponesi come Masonna o Hanatarash.
Se le parole e i suoni non vengono più ascoltati, o se vengono perfino smorzati dal fruitore finale – per noia o indifferenza –, ciò vuol dire che essi non toccano più il cuore del mondo e non ne vivacizzano l’intelligenza.
Ci si nasconde talvolta nella profondità dei contenuti per non perdersi, per non diventare un triviale oggetto di consumo, ma così facendo ci si allontana invariabilmente dall’immediatezza dell’intesa infittendo le mediazioni culturali tra i diversi attori in gioco.
Adottare una forma musicale di tipo “serio”, onde sfuggire al recupero, come già suggeriva in qualche modo Adorno in Introduzione alla sociologia della musica, non allarga certo il fronte della rottura, del rifiuto, ma si limita a preservare un ambito “protetto”, inespugnabile, una sorta di riserva elitaria dove viene coltivata la negazione della cultura convenzionale finendo spesso per generare delle nuove convenzioni culturali all’insegna di una negazione cólta. Secondo Adorno, compositori come Stockhausen o Schönberg, per la loro alta qualità, irricevibile dal mercato di massa, sono da considerare la punta dialettica e critica dell’arte musicale. In tal modo, si rischia però di restare nel cerchio magico della cultura e dell’arte accettando sostanzialmente un ripiegamento, un trinceramento autistico dentro le opere culturali della negazione, che così finiscono per risultare idealisticamente avulse dalla totalità del contesto sociale.
L’opera della negazione non è ancora la negazione dell’opera. – Ancora uno sforzo, miei cari ragazzi, se volete essere davvero sovversivi!
Yes, that’s right, punk is dead, it’s just another cheap product for the consumers head. Bubblegum rock on plastic transistors, schoolboy sedition backed by big time promoters. CBS promote Clash, but it ain’t for revolution, it’s just for cash. Punk became a fashion just like hippy used to be and it ain’t got a thing to do with you or me. Movements are systems and systems kill. Movements are expressions of the public will. Punk became a movement cos we all felt lost, but the leaders sold out and now we all pay the cost. Punk narcissism was a social napalm, Steve Jones started doing real harm. Preaching revolution, anarchy and change as he fucked from the system that had given him his name. Well I’m tired of looking through shit stained glass, tired of staring up a superstars arse, I’ve got an arse and crap and a name, I’m just waiting for my fifteen minutes fame. Steve Jones you’re napalm, if you’re so pretty vacant why do you smarm? Patti Smith, you’re napalm, you write with your hand but it’s Rimbaud’s arm. And me, yes, I, do I want to burn? Is there something I can learn? Do I need a business man to promote my angle? Can I resist the carrots that fame and fortune dangle? I see the velvet zippies in their bondage gear, the social elite with safetypins in their ear, I watch and understand that it don’t mean a thing, the scorpions might attack, but the systems stole the sting. Punk is dead. Punk is dead. Punk is dead. – Sì è vero, il punk è morto, è solo un altro prodotto a buon mercato per la testa dei consumatori. Gomma da masticare rock su transistor di plastica, sedizione per scolaretti finanziata dai grossi promoter. La CBS lancia i Clash, ma non è per la rivoluzione, è solo per i soldi. Il punk è diventato una moda com’è successo agli hippy e non ha più niente a che fare con me o con te. I movimenti sono sistemi e i sistemi uccidono. I movimenti sono espressioni della volontà pubblica. Il punk si è trasformato in un movimento perché ci sentivamo tutti persi, ma i leader si sono venduti e noi ora ne paghiamo lo scotto. Il narcisismo punk era napalm sociale, Steve Jones ha iniziato bestemmiando. Predicava la rivoluzione, l’anarchia e il cambiamento mentre veniva fottuto dal sistema che gli aveva dato un nome. Beh, sono stanco di guardare attraverso queste vetrine sporche di merda, stanco di fissare il culo delle superstar, ho anch’io un culo, della merda e un nome, sto solo aspettando i miei quindici minuti di fama. Steve Jones, sei napalm, se sei così “pretty vacant” perché strisci? Patti Smith, sei napalm, scrivi con la tua mano, ma il braccio è di Rimbaud. Ed io, sì, proprio io, voglio forse bruciare? C’è qualcosa che posso imparare? Mi occorre un uomo d’affari per promuovere il mio punto di vista? Posso resistere alle carote che successo e fortuna mi fanno penzolare davanti? Li vedo coperti di cerniere, velluto e abiti bondage, l’élite sociale con le spille da balia all’orecchio, li guardo e capisco che non significa nulla, gli scorpioni possono anche attaccare, ma il sistema gli ha fregato il pungiglione. Il punk è morto. Il punk è morto. Il punk è morto. [Crass, Punk is dead, da: The Feeding of the 5000 (1978). Quel “pretty vacant” è ovviamente un sarcastico riferimento all’omonima canzone dei Sex Pistols].
Il variegato movimento punk ha visto intersecarsi (e spesso combattersi) due principali attitudini. La prima – quella che fa capo chiaramente ai Sex Pistols e agli intrallazzi di Malcolm McLaren – ha tentato fin da subito di monetizzare il recupero delle proprie trasgressioni giocando d’anticipo e bluffando apertamente nei confronti dell’industria discografica, oppure non si è neanche posta il problema, accettando di buon grado le regole di un gioco imposto dalla società mercantile. All’interno di questa corrente, ampiamente maggioritaria, si è avuta talvolta una rivolta sterile e nichilista contro le regole e le mediazioni imposte dallo show business. Le parabole esistenziali e artistiche di Sid Vicious e GG Allin, pur nel rispetto delle specificità individuali, ne sono un esempio emblematico – e che sfocia, ahimè, in una dimensione tragicamente patetica. Del resto, nella democrazia bottegaia, il nichilismo viene tollerato o addirittura incentivato, soprattutto quando rimane in un ambito separato (come può esserlo quello culturale), poiché diventa spesso una valvola di sfogo attraverso la quale si decomprimono e si risolvono spettacolarmente, quindi in modo da non sovvertire alcunché di reale, le contraddizioni e le mancanze generali dell’assetto sociopolitico. – Di tanto in tanto, si costruisce e si sacrifica un’icona spettacolare per non dover sacrificare l’intero spettacolo della società. In un modo teatrale e penoso, Sid Vicious è morto per i suoi e per i nostri peccati, testimoniando l’impossibilità reale, dentro gli schemi del nichilismo, di una rivolta efficace contro l’alienazione sociale.
Sul versante opposto, invece, come abbiamo visto ad esempio coi Crass, si è manifestata una tendenza punk anti-nichilista e propositiva che ha finito per creare degli innegabili spazi di autonomia, senza però innescare una rottura decisiva con quelle che sono le strutture autoritarie e mercantili della civiltà.