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[ Il testo che segue è la mia nota introduttiva al catalogo gratuito e digitale di mail art Pornography (Maldoror Press, febbraio 2020). Le fotografie sono di Robert Hutinski. ]

 

 

Che cos’è l’oscenità, se non un’apertura, uno squarcio, una rottura più o meno irrecuperabile dentro l’impianto normativo della civiltà?
Il movimento dell’osceno rompe con la normalità delle relazioni e innesca un disordine nell’ambito comunicativo immediato: cose che non si possono fare, non si possono dire, a meno che non si voglia passar male e veder ridimensionata la propria “figura” a livello sociale.

La sfera della sessualità – i rapporti tra i sessi, tra i generi sessuali storicamente determinati – produce la gran parte delle oscenità.
Dalla salacità meramente colloquiale alla pornografia di massa, è tutto un pullulare di dinamiche provocatorie, indisponenti, se non addirittura offensive.
A partire dal dominio storico della cristianità, in Occidente si è andata conformando, amplificando e individualizzando un’idea generale di lussuria, che ha posto i corpi sessuati e il desiderio sessuale in cima alle preoccupazioni della società. Tutto è stato erotizzato. Ogni cosa è venuta a porsi, prospetticamente o direttamente, in rapporto agli elementi sessuali. La nozione di peccato si è rivelata il varco per far affiorare il magma erotico, ma anche e soprattutto l’ambito concettuale in cui convogliare, irretire e “bonificare” l’oscenità sessuale. (La stessa psicanalisi freudiana può essere vista come uno degli ultimi anelli di una catena normativa che tende a catalogare e a contenere storicamente l’erotismo e le sue estremizzazioni: il DSM dell’American Psychiatric Association è venuto così a sostituire i penitenziali del diritto canonico).

 

 

La pornografia moderna è un àmbito dell’erotismo occidentale. Sviluppatasi storicamente nell’alveo cristiano-borghese, la si può delineare a partire da alcuni caratteri specifici, già rintracciabili nell’opera di Sade (in particolare, ne’ Le 120 giornate di Sodoma). Tali caratteri, divenuti degli stereotipi del porno, sono i seguenti: compilazione e ripetizione ossessiva di situazioni erotiche esplicite; riduzione dei personaggi a pure macchine del sesso; impostazione fallocentrica, con generale asservimento del genere femminile, il quale resta incondizionatamente disponibile a ogni atto sessuale; focalizzazione dell’attenzione sui dettagli erotici, in particolare sugli organi sessuali; intercambiabilità dei corpi e delle figure erotiche; tendenza “totalitaria” a inglobare (a sussumere) nella sfera sessuale ogni elemento della realtà.

Nell’immagine pornografica, non si “prostituisce” solo l’oggetto della visione, ma anche l’occhio di chi ne assume l’oscenità spettacolare.
L’immagine porno adesca il desiderio all’interno di un plot deliberato, ripetitivo, ritualmente ossessivo, e fa sì che l’immaginazione delle parti in gioco venga agganciata meccanicamente alla mera soddisfazione orgastica.
L’artista erotico-pornografico, il fruitore, la mediazione dell’oggetto ritenuto osceno, i corpi reali o dematerializzati ridotti ad alcuni dettagli provocanti: sono altrettanti elementi della relazione pornografica.

Nelle dinamiche sociali capitaliste, la pornografia è lo sfruttamento intensivo delle oscenità a sfondo sessuale, nonché parte integrante del loro ordinamento. Pornografia o barbarie. Il corpo frammentato dal porno viene ridotto a forza-lavoro erotica e a quintessenza contemporanea della forza-lavoro. Civiltà versus anarchia delle tumescenze sessuali. Dal tardo Novecento, il capitale si rivela smaccatamente pornografico e il valore di scambio finisce per incularsi ogni vivente.

 

 

Cosa avrà spinto i nostri antenati preistorici a rappresentare gli organi genitali umano-femminili sulle pareti rupestri o mediante delle opere scultoree più o meno rudimentali? Per quale motivo nacquero quelle figurazioni? Scopi ludici? Testimonianza? Strumento di eventi rituali? Propiziazione di qualcuno o qualcosa?
Forse per tutti questi motivi e altri ancora, chissà. Comunque sia, non sapremo mai quanta gratuità potesse esserci in quelle figure o, all’opposto, quanta parte di valorizzazione comunitaria (quale tentativo di governo delle dinamiche sessuali) si rivelasse per il loro tramite.
Oggi, al contrario, possiamo ben dire che la sfera del sessuale, con le sue rappresentazioni più esplicite e l’avvento della pornografia di massa, è un elemento dinamico della generale valorizzazione economica, tanto da porre ormai soltanto la gratuità come vero discrimine tra la pornografia e una possibile oscenità non pornografica.

L’arte moderna, in quanto valorizzazione e ricombinazione storica del bello, non si distacca dai generali flussi di gestione dell’esistente. In altre parole, l’arte è la produzione di merci legate al consumo del bello storicamente determinato.
Quasi invariabilmente, il prodotto estetico – l’oggetto o il “residuo” della creazione artistica – viene valorizzato sul mercato dell’arte o attraverso le dinamiche di museificazione dei valori culturali. Anche la provocazione, anche il gusto dello scandalo, tanto cari alle avanguardie artistiche del Novecento, concorrono ormai ad incentivare e a “customizzare” proficuamente il governo sociale dei valori.
Tuttavia, esistono e resistono delle sacche di autonomia creativa che si vogliono sganciate dai processi sociali di mercificazione e foriere di una tendenziale gratuità del gesto artistico. Basti pensare a certe espressioni della street art, ad alcuni filoni della musica giovanile (ad es. il punk), all’arte postale o all’utilizzo ludico-estetico e non commerciale del web.

 

 

La gratuità, in tutte le sue possibili accezioni, è una delle condizioni per innescare dei processi realmente irriducibili al potere dei valori e al valore del potere.
Gratuito è il carattere di ciò che è senza prezzo, ossia di ciò che viene introdotto nelle relazioni umane senza la necessità di una contropartita; ma gratuito è anche ciò che resta immotivato, inatteso, asimmetrico, e sovente del tutto fine a se stesso. Per cui, la natura della gratuità dovrebbe far sì che essa, restando realmente tale fino al consumo di ciò che la porta, non possa essere conservata o trasmessa attraverso dei processi di valorizzazione che trascendano la sua esperienza immediata.

Abbiamo detto che la gratuità è il vero discrimine per distinguere la pornografia dalle oscenità che non si “prostituiscono”, che non sono in vendita o non sono spendibili.
Allo stesso modo, possiamo affermare che la gratuità – intesa sia come assenza di prezzo, di contropartita obbligatoria, sia come mancanza di giudizio o di giustificazione – è ciò che differenzia l’esperienza immediata e orizzontale della creatività dalle sue cristallizzazioni artistiche, museali.
Solo il gratuito rende aperta e libera la condivisione delle esperienze. Solo il gratuito prepara e veicola l’affermazione dell’unicità. Ed è soprattutto il rigore possibile del gratuito a mettere in crisi la rigidità delle convenzioni e dei ruoli che si sviluppano a partire dal governo sociale dei valori.

 

Laureana Cilento, 17-19 gennaio 2020